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Il messaggio alle donne: dalla violenze domestiche si può uscire

La cosentina Antonella Veltri alla guida di D.i.Re. racconta in esclusiva a PdV un'emergenza che molte donne vivono in tempi di normalità e che oggi si fa ancora più pressante. Un numero verde per chiedere aiuto. 

Il messaggio alle donne: dalla violenze domestiche si può uscire

Combattere la violenza contro le donne rientra tra i principi cardine di "D.i.Re-Donne in rete contro la violenza", la Rete. nazionale dei Centri antiviolenza, presieduta dalla cosentina Antonella Veltri, da sempre impegnata nel campo dell'antiviolenza, il cui scopo è quello di farsi carico delle donne vittime di soprusi e maltrattamenti da parte degli uomini maltrattanti. Ai tempi del Coronavirus non si ferma lo "stato di necessità" legato al diritto delle donne di recarsi presso i centri antiviolenza sul territorio, utilizzando tutti i mezzi a disposizione (si può chiedere aiuto rivolgendosi al numero nazionale 1522 gratuito e attivo 24 ore su 24) per sottrarsi agli ostacoli derivanti dal lockdown messo in atto dal governo a causa dell'emergenza sanitaria.

Di seguito l'intervista ad Antonella Veltri

Presidente Veltri, quando si parla di violenza contro le donne ci si riferisce a determinati fenomeni: violenza domestica, violenza sul posto di lavoro e in altri contesti umani. Ai tempi del Covid-19 cosa sta riscontrando insieme alla sua rete antiviolenza?

Stiamo verificando la necessità che, fuori dall’emergenza del COVID19, risulta necessario rendere consapevoli tutte e tutti che la violenza alle donne sia un fenomeno strutturale di cui bisogna farsi carico in condizioni di “normalità” e attivarsi ciascuno dalla sua postazione per decostruire gli stereotipi che nutrono l’esercizio del potere di un genere sull’altro. In questo temo di emergenza affrontiamo le difficoltà che hanno le donne, che vivono convivenze forzate, nel sottrarsi al proprio partner, marito, compagno per richiedere aiuto ai nostri centri.

Dal Revenge Porn alle varie azioni di contrasto alla violenza, tutte misure atte ad arginare azioni violente. A suo parere, cosa manca ancora per sensibilizzare sempre di più l'opinione pubblica?

Manca il riconoscimento della violenza, manca la formazione adeguata di tutti i soggetti dalle forze dell’ordine, agli agenti della formazione, agli operatori sanitari per poter intervenire adeguatamente nella lettura del fenomeno e quindi sia nella fase di prevenzione che di contrasto del fenomeno della violenza alle donne.

La negazione della donna avviene ogni talvolta si assiste ad episodi nefasti, come ad esempio l'omicidio a Messina di Lorena Quaranta. Cosa si sente di dire alle donne in pena e ancora costrette a convivere con uomini violenti?

Che dalla violenza si può uscire, che al primo episodio di controllo, di sopruso, bisogna fermarsi e chiedere aiuto a un centro antiviolenza. Non sarà lasciata mai sola.

Complessivamente, si stanno pensando nuove forme di coordinamento tra i diversi attori sociali?

In Italia, laddove gli interlocutori istituzionali hanno mostrato interesse e si sono lasciati coinvolgere, sono attive Reti Territoriali di prevenzione e contrasto della violenza alle donne che comprendono Procura, Prefettura, ASP, Centri antiviolenza, Enti locali. Insieme si condividono protocolli che talvolta rendono possibile interventi virtuosi. 

Gentilmente, le chiediamo di rivolgersi alle donne maltrattate, e cosa devono fare per difendersi e liberarsi dall'incubo della violenza?

Riconoscerla e non sottovalutare gli episodi che spesso si lasciano passare con superficialità nella speranza che non si ripetano più. Noi ci siamo. Mi rivolgerei piuttosto agli uomini maltrattanti dicendo loro che il rispetto è un valore da cui non si deve mai prescindere in ogni convivenza.

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