Arte dei micromosaici

Gli intellettuali acquistavano questi oggetti minuti e li portavano in patria come ricordo del Grand Tour

Nella Sala Paolina II, all’interno delle Gallerie della Biblioteca dei Musei Vaticani, è stata allestita la collezione permanente di mosaici minuti dal titolo Nostalgia e invenzione, curata dal Reparto Arti Decorative. Il titolo trae ispirazione dalla raccolta di studi di Alvar González-Palacios, storico dell’arte cubano naturalizzato italiano, tra i massimi esperti delle arti decorative, per il quale l’arte italiana è “un continuo susseguirsi di nuove ideazioni e di ancestrali rimpianti; è un alternarsi di sensibilità e divinizzazioni che non sembrano avere né principio né fine”. Quest’esposizione raccoglie quasi cinquecento pezzi di mosaici minuti delle Collezioni pontificie, appartenuti a Domenico Petochi e acquistati, nei primi anni ‘90 del XX secolo, dal direttore Carlo Pietrangeli. La tecnica del micromosaico si è sviluppata verso la fine del Settecento nello Studio Vaticano del Mosaico, nato alla fine del Cinquecento su richiesta di Gregorio XIII, e sottoposto alle dipendenze della veneranda Fabbrica di San Pietro a partire dal 1727 sotto Benedetto XIII. Gli artisti di quest’istituzione, dovendo sostituire i dipinti originali della basilica di San Pietro con opere musive più durature di derivazione romana, bizantina e medioevale, iniziarono a produrre delle tessere molto piccole a partire dal 1795, rimpiazzando la tecnica dello smalto vetroso tagliato, tipico delle opere di più grandi dimensioni, con quella della filatura. Lo smalto veniva fuso davanti alla fiamma e ridotto in bacchette lunghe e sottili, da cui l’artista ricavava tessere quadrate o rettangolari di dimensioni millimetriche, usando pinzette e lime. Per ottenere il micromosaico veniva trasferito il bozzetto preparatorio dell’immagine su un supporto, quasi sempre in gesso, riportandone i tratti a carboncino. Venivano asportate piccole parti del supporto, facendo attenzione a spalmare di mastice le cavità ottenute, inserendo in esse le tessere. Dopo aver riempito gli interstizi, veniva fatta penetrare della cera colorata e, infine, quando quest’ultima si era indurita, la superficie del micromosaico veniva pareggiata, smerigliata e lucidata. Con questa procedura, ancora oggi esistente, si ottenevano piccoli gioielli decorativi sui quali erano riportate immagini complesse altamente dettagliate, capaci di creare visioni delicate e potenti. Quest’arte antichissima, frutto della genialità di maestranze spesso anonime, fu presentata per la prima volta in occasione dell’Anno Santo a Roma nel 1775, nella bottega del mosaicista Giacomo Raffaelli (1753-1836), considerato il pioniere di questo nuovo genere, nonché fondatore della procedura per filare gli smalti e autore di una copia in mosaico del Cenacolo vinciano, oggi conservata a Vienna. Oltre alle sue creazioni, si ricordano quelle floreali di Domenico Moglia (1780-1862) e quelle animaliste del figlio Luigi, pervase da un vivo senso della linea e del rilievo. I micromosaicifurono realizzati per essere visti da vicino, sotto forma di placchette generalmente applicate su tabacchiere o su oggetti da tavolo, più raramente incastonate su spille o raggruppate in serie formanti bracciali, collane e ciondoli. Si tratta quindi di oggetti nati per una fruizione intima e frutto di un lavoro meticoloso, simboli di un’arte raffinata di impronta romana a cavallo tra Sette e Ottocento. I soggetti principali raffigurati su questi pezzi sono le allegorie dell’amore di tradizione neoclassica, le tematiche mitologiche, le scoperte archeologiche, i monumenti, gli animali, i fiori e, a partire dalla metà del XVIII secolo, anche paesaggi e vedute dell’Urbe. L’ampia diffusione di questa tecnica in tutta Europa e la costituzione delle prime collezioni indussero la Fabbrica di San Pietro a includere i mosaici “in piccolo” tra le arti decorative privilegiate, al fianco dei mosaici in grande già in uso. Accrebbero il loro prestigio quando iniziarono ad essere acquistati nell’ambito del “Grand Tour” dai colti viaggiatori, che giungevano a Roma per scopi educativi e facevano poi ritorno nei loro paesi, portando con sé queste “cose da poco” in ricordo della Città Eterna. Winckelman e Goethe le disprezzarono, tacciandole come capricci di mogli e riducendo un’antica tradizione artistica ad ornamento per braccialetti e tabacchiere. Questi minuscoli oggetti, testimoni dell’arte classica, ottennero il loro giusto riconoscimento grazie ai Papi, che li scelsero come regali da destinare ai diplomatici e ai regnanti in visita di stato. Nel 1804 Antonio Canova, nominato ispettore delle Belle Arti per Roma e lo Stato pontificio, selezionò dei regali che Pio VII doveva dare in dono a Napoleone per la sua incoronazione. L’artista scelse scatole, bracciali e quadrucci decorati in mosaico minuto, che assunsero il ruolo di doni diplomatici di alto livello. Nel 1826 Leone XII, in segno di riconoscenza per l’intervento della marina francese a difesa del commercio pontificio nel Mediterraneo, donò a re Carlo X di Francia un meraviglioso tavolo in mosaico, oggi conservato a Versailles, decorato con le scene descritte da Omero per lo scudo di Achille. Le opere di questo progetto espositivo dei Musei Vaticani sono state collocate dentro originali armadi settecenteschi, arredi sorti per custodire il sapere e che ora fungono da scrigni d’arte. Questa scelta deriva dalla volontà di inserire i micromosaici in una dimensione privata, per essere contemplati silenziosamente come oggetti preziosi. Il nuovo allestimento è stato presentato nei Musei Papali il 16 maggio, alla presenza di Suor Raffaella Petrini, F.S.E., Presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, di Barbara Jatta, Direttrice dei Musei Vaticani, di Alvar González-Palacios e di Luca Pesante, responsabile del Reparto Arti Decorative. Esso “conferma l’impegno che i Musei Vaticani stanno dando alla valorizzazione delle cosiddette arti applicate, per restituire al pubblico uno sguardo su una delle collezioni più importanti al mondo, se non la più importante. Il micromosaico o mosaico minuto va considerato come una delle espressioni dell’ingegno e della sensibilità artistica italiana di un certo periodo” ha riferito Jatta. “Quel che si cerca negli oggetti a cui accenniamo non è tanto la loro realtà fisica quanto l’evocazione di un ideale poetico che è in noi senza che ne siamo del tutto coscienti. Queste schiocchezzuole rendono bella la vita… sono oggetti di altro uso e a volte si può provare piacere nelle cose futili” ha specificato Alvar González-Palacios, che adora questi piccoli oggetti perché capaci di ammaliare la mente e l’anima.