Diocesi
Padre Ermes Ronchi canta l’amore di Dio

Il noto biblista e saggista a Cosenza per la lectio sull’Apocalisse organizzata dal seminario “Redemptoris Custos”. Intervista a PdV
Padre Ermes Maria Ronchi è stato ospite della nostra diocesi in occasione del ciclo di catechesi sull’Apocalisse organizzati dal seminario “Redemptoris Custos”. Nel palacultura “Giovanni Paolo II” ha tenuto una catechesi su alcuni temi del libro biblico. L’evento è stato introdotto dal rettore del Seminario don Aldo Giovinco e animato dai seminaristi. Abbiamo incontrato Padre Ronchi per un’intervista.
Padre, è a Cosenza per una meditazione sull’Apocalisse. Quale il messaggio che ci offre?
L’idea di fondo è che quello che viene raccontato nell’Apocalisse, immaginato o dipinto con colori così alle volte impressionanti, è la storia di sempre dell’intera umanità. Per esempio, a Cosenza parliamo della donna vestita di
sole che era incinta. È la storia dell’umanità di sempre, dell’incarnazione di Gesù, ma anche dell’umanità intera che deve partorire vita, ogni cristiano deve essere nel mondo portatore di vita in lot-
ta contro il male; ognuno di noi è vestito di sole, cioè abbiamo una goccia o un mare di luce dentro che spesso non
riusciamo a far uscire. Ecco, l’idea è questa. Quello che è detto lì, che noi applichiamo alla figlia di Sion, a Maria, alla Chiesa, io lo estendo all’umanità.
Si spieghi.
L’umanità, il mondo, porta un altro mondo nel grembo e deve darlo alla luce. Dobbiamo far uscire quest’altro mondo che abbiamo dentro. Io porto in me un’altra immagine di me che devo far uscire, ognuno di noi porta Cristo,
dobbiamo farlo uscire.
In questo mondo così complicato, difficile, in cui ci sono tante voci, tante istanze, tanti punti di vista diversi, come può la testimonianza cristiana attecchire o quanto meno essere davvero feconda?
Anzitutto non dobbiamo procedere per frasi fatte, perché questo è il rischio anche di noi sacerdoti. E poi non dobbiamo essere mai superficiali di fronte alle domande, perché la superficialità è il vizio di questa nostra epoca dove ‘si
vede’ ma ‘non si pensa’, dove non c’è il pensiero, ma prevale l’immagine. Però per essere efficace la nostra deve essere
una testimonianza contagiosa e amorosa del Vangelo. Deve essere un innamoramento ed è questo che diventa fuoco, perché il fuoco si accende
solo col fuoco.
Se il fuoco si accende col fuoco, oggi c’è bisogno di spiritualità?
Sì, certo, c’è sempre stato bisogno di questo, ma noi anche all’interno della Chiesa abbiamo subito una crisi, perché
c’è stato uno slittamento dalla mistica, dalla spiritualità alla dogmatica. Dalla dogmatica un secondo slittamento alla
morale, con una fede ridotta a morale, e poi un terzo slittamento dalla morale alla disciplina, cioè a fare o non fare
certe cose. Quindi direi che c’è da fare
un cammino a ritroso, un risalire la china dalla disciplina di cose esteriori, segni, simboli, apparati, apparenze, ritualità,
gesti, all’etica, alla morale Che è sempre scegliere l’umano contro il disumano radicale; poi ancora risalire alla dogma-
tica, che non è la formula fissa ma è il cogliere il nocciolo ardente della fede; e poi da lì alla mistica, alla spiritualità.
Questo amore nasce dal Vangelo.
Lei è un esperto del- la parola di Dio. Come trasmetterla oggi, in particolar
modo alle giovani generazioni?
Anche se c’è già, bisogna trasmettere la fede elementare, cioè che siamo avvolti dall’amore di Dio. Se i nostri interlocutori sentono questo, possiamo andare avanti. Perché non siamo davanti a una dottrina,
non sono fatti di fede, non sono formule e definizioni. La fede è elementare. Il fondamento di tutto è: ‘tu sei amato’.
Il compimento è ‘tu amerai’.
Lontano da questo non c’è fede. Il fondamento della fede è: ‘ricordati, tu sei amato’. E il compimento è: ‘tu a tua
volta amerai’. Chi astrae la fede da questo fondamento e da questo compimento ama il contrario della vita.
È un po’ il fondamento del Giubileo che stiamo vivendo, la fiducia di poter attingere a questa misericordia di un Dio che mi ama per primo.
Sì, siamo tutti avvolti da questa realtà, ma riuscire a trasmetterla non è facile. Dobbiamo trasmettere che ogni essere
umano, dalla culla alla morte, pensa, desidera, si aspetta di ricevere cose buone dalla vita. Tutti ci aspettiamo di ricevere cose buone. Ecco, la risposta
è il Vangelo come segreto per la felicità, e Gesù Cristo come chiave per accedere alla pienezza.
Quanto possono aiutare nella testimonianza la poesia, la musica, la letteratura, quindi riuscire a far dialogare anche le materie, le scienze, un po’ quello che chiedeva papa
Francesco nella ‘Ad theologiam promovendam’?
Ritengo che siano fondamentali perché tu la tua identità, il fuoco, la luce che hai, la metti più facilmente in una poesia,
in un’opera, in una ricerca. Si mette più passione. Credo nella trasmissione e nel servizio che possono fare due o più
campi di pensiero diversi. Noi siamo a cavallo di una montagna, c’è di qua un terreno, di qua un altro, radici da una
parte, radici dall’altra. Mettere insieme due campi del pensiero come ad esempio la scienza e la fede, la psicologia e la spiritualità, l’arte e la letteratura e la teologia, riuscire a connetterli, crea una vitalità, un’energia, una creatività che
altrimenti non viene alla luce. Allora, il vero creatore di cultura è chi mette in connessione campi diversi del sapere. Papa Leone, ad esempio, adesso ha
cominciato ad aprire il discorso sull’intelligenza artificiale, sul mondo digitale, sull’universo delle nuove scoperte, delle nuove scienze. Questo è fondamentale per riuscire ad avere una risposta, un contatto, una fecondazione reciproca. Perché non dobbiamo anda-
re a colonizzare l’intelligenza artificiale, ma dobbiamo trovare un modo per cui ci sia reciproca fecondazione con la
scienza, con la fisica quantistica, con l’arte. C’è un’ibridazione che diventa creativa. E io credo che questo sia uno dei luoghi di maggiore ricchezza
possibile.