Cultura
Margherita Guarducci, l’archeologa dimenticata che scoprì le ossa di Pietro

L’epigrafista si dedicò agli studi sulla religiosità e sulla società del mondo greco e di quello romano
Il mondo cristiano attende con ansia l’elezione del nuovo pontefice, che guiderà la Chiesa proseguendo l’opera di Francesco e dei suoi predecessori. Nell’attesa che venga pronunciato quel fatidico “Habemus papam”, vogliamo concentrare la nostra attenzione sulle ricerche storiche e archeologiche condotte sulla Cattedra di Pietro e, in particolare, sugli studi compiuti da Margherita Guarducci, un nome molto spesso dimenticato e seppellito, per troppo tempo, tra le carte dei polverosi archivi pubblici o privati. Proviamo a capire chi era questa donna. Nata a Firenze nel 1902 e deceduta a Roma nel 1999, Margherita Guarducci è stata un’archeologa ed epigrafista italiana, conosciuta per aver localizzato la tomba e le ossa dell’apostolo Pietro in Vaticano. Proveniente da una famiglia di vecchie origini contadine, si laureò nel 1924 a Bologna e frequentò la scuola di perfezionamento in studi archeologici, prima a Roma e poi ad Atene, sotto la guida di Alessandro Della Seta. A Creta fece la conoscenza del professore di epigrafia greca all’Università “La Sapienza” di Roma, Federico Halbherr, il quale portò avanti il progetto di pubblicazione di un corpus, contenente le iscrizioni greche e latine di Creta anteriori al VII secolo d.C.. In seguito alla morte del docente nel 1930, Guarducci ereditò e completò il progetto, ottenendo anche l’incarico di insegnamento rivestito dal suo mentore nello stesso ateneo romano. La studiosa diede alle stampe, tra il 1935 e il 1950, i quattro volumi delle Inscriptiones Creticae, che ebbero fin da subito il valore di opera enciclopedica riguardante la topografia, l’archeologia e la storia delle antiche città cretesi. Approfondì con altri scritti molti aspetti del mondo greco, spaziando dalla politica alla religione e alla società, contestualmente al suo lavoro di docente di epigrafia a Roma, di direttrice della Scuola nazionale di archeologia e di socio dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Le sue ricerche convergono verso una pubblicazione in quattro volumi molto importante, che rappresenta un po’ la sintesi di tutto il suo pensiero scientifico, dedicato alla storia e alle iscrizioni della Grecia antica: Epigrafia greca, pubblicata a Roma tra il 1967 e il 1977. La notorietà di Margherita, come studiosa di archeologia ed epigrafia cristiane, crebbe in maniera esponenziale dopo il 1952, quando Pio XII la incaricò di partecipare agli scavi per la ricerca della tomba di Pietro. La donna ebbe un legame strettissimo con Pacelli, definendolo “del mio lavoro l’augusto Patrono”, e ancora di più con Paolo VI, che fu suo confessore quando ancora rivestiva l’incarico di segretario di Stato, favorendo le sue ricerche sull’apostolo. Altri due testi intitolati La tradizione (1963) e Le reliquie di Pietro (1965) suscitarono non poche critiche nei confronti di Margherita, la quale fu attaccata per il forte rigore scientifico e per la capacità divulgativa non comuni con cui compì i suoi studi in Vaticano. In realtà l’esperta dimostrò serietà, attendibilità e dedizione nel lavoro, offrendo descrizioni e particolari delle sue scoperte attraverso un metodo analitico e sistematico di indubbia affidabilità. Basti ricordare con quanta cura spiegò, nei tre volumi che compongono l’opera I graffiti sotto la Confessione di San Pietro in Vaticano (1958), i disegni che rinvenne sul famoso muro “g” nella necropoli vaticana, dove furono ritrovate le ossa da lei indicate e attribuite a Pietro e sistemate lì in età costantiniana. In questo capolavoro di archeologia, Guarducci rileva l’esistenza di una “crittografia mistica paleocristiana” fondata sul simbolismo alfabetico, dopo aver decifrato varie iscrizioni lavorando in ginocchio, a causa della collocazione del muro. L’intellettuale toscana svelò anche alcuni falsi romani come la “fibula prenestina”, da ricondurre ad autori legati esclusivamente ad interessi economici, e il “Cosiddetto trono di Boston”, e dimostrò come la statua di Sant’Ippolito, conservata all’ingresso della Biblioteca apostolica vaticana, fosse il risultato di un’arbitraria composizione di pezzi fatta da Pirro Ligorio, il quale aveva restaurato un’effige femminile facendola passare per maschile, una copia romana di un originale greco del III secolo a.C. Questa distinta signora dallo sguardo vivace, esperta conoscitrice della religione greca e romana, e profondamente cattolica, è la più grande epigrafista del XX secolo, appellativo più che meritato per il suo impegno e per la sua passione nel lavoro archeologico ed epigrafico. Una donna, però, di cui si è dimenticato il nome e che è conosciuta solo tra gli studiosi che condividono i suoi stessi interessi culturali. Una conservatrice anomala ed emancipata, che le fazioni politiche volutamente hanno tentato di spostare nel dimenticatoio della Storia, perché considerata scomoda, anche per le sue posizioni contro l’aborto e il divorzio, per la sua ostentata fede cristiana e per la sua vicinanza alla destra. Ma la Storia, fortunatamente, non dimentica e sta restituendo ai posteri figure, vittime della cultura storiografica nichilista di stampo maschile e maschilista. Margherita ha confermato, con le sue scoperte epigrafiche e archeologiche, che la tradizione cattolica è veramente fondata. Controcorrente e temeraria, forte e reazionaria, sfondò le barriere che separavano tradizione e scienza, riuscendo a creare un ponte di comunicazione tra questi due settori. La dichiarazione pubblica che fece nel 1964, secondo cui quelle posizionate sotto la Basilica vaticana sono effettivamente le ossa del Principe degli Apostoli, non fu seguita da un meritato riconoscimento o da una certa fama per lei. Forse perché, essendo donna, andava contro la cultura sessista della Chiesa di allora? Non lo sappiamo, ma sta di fatto che ha speso tante energie per confermare la verità a cui noi cattolici siamo tanto devoti. Tra i tanti contributi, oggi sul mercato editoriale, che fanno luce sulla vita di questa donna c’è quello di M. L. Lazzarini intitolato Margherita Guarducci e Creta (Accademia Nazionale dei Lincei, 2005).