Il pensiero religioso di Italo Mancini

Sono trascorsi cento anni dalla nascita del famoso sacerdote, filosofo e scrittore urbinate

Sono trascorsi cento anni dalla nascita di Italo Mancini, il sacerdote e filosofo originario di Schieti vicino Urbino. La sua formazione incentrata sulla Metafisica, sull’Ontologia, sulla Filosofia della religione, sulla Storia del cristianesimo, sulla Filosofia teoretica e sulla Filosofia del diritto, gli serve per analizzare la modernità e il processo di secolarizzazione in corso, e per proporre una religione aperta alla dialettica fra varie culture. I suoi studi teologici, tuttavia, non offuscano il suo interesse verso i bisogni degli uomini. Tra i filosofi di cui si interessa c’è Immanuel Kant, di cui per anni si occupa commentando la Critica della ragion pura. Mancini è convinto che varie posizioni kantiane siano prossime alla coscienza teologica più recente. Italo si sofferma sulla filosofia della religione kantiana, basata su una concezione puramente razionale. Per il pensatore illuminista la religione è essenzialmente la conoscenza che l’uomo ha dei propri doveri, presentati sotto forma di comandamenti divini. Parla di “male radicale” che spinge l’uomo ad obbedire agli impulsi sensibili più che alla ragione. Gli uomini, dunque, sono portati per istinto ad unirsi e ad aiutarsi e nasce così la società degli spiriti, che è la vera Chiesa, la “Chiesa invisibile” a cui tutti appartengono e che corrisponde alla legge morale. L’uomo, tuttavia, necessita di una Chiesa visibile e di leggi da seguire, per cui da una religione razionale si passa ad una religione positiva. La religione positiva più alta tra tutte, in grado di essere ricondotta anche a credo naturale, è solo il cristianesimo per Kant. Nei Prolegomeni ad ogni futura metafisica, Kant ammette di sentirsi meglio quando scende al livello dell’esperienza tralasciando invece la dimensione alta della metafisica. La religione kantiana è considerata da Mancini feconda per il cattolicesimo, alla luce del Concilio Vaticano II. Negli anni settanta, Italo fronteggia anche l’ideologia marxista, concentrandosi in particolar modo sull’idea dell’Alienazione presente nei Manoscritti economico-filosofici del 1844. Il filosofo urbinate parla del marxismo come di “religione in eredità”, nel senso che Marx voleva risolvere non religiosamente i problemi della religione (appunto l’alienazione dell’uomo) realizzando una soteriologia senza Cristo. Marx è per Mancini un “abitatore eretico” dell’area ebraico-cristiana, perché vuole occupare con la religione del “qui” il posto della religione dell’ “aldilà”. Mancini critica l’ateismo e attacca l’uso della dialettica hegeliana in prospettiva materialistica. Questa concezione, infatti, blocca il senso di libertà dell’uomo come persona, riducendolo a un insieme di rapporti economici. Mancini ha un’idea di Cristianesimo inteso in maniera personalistica, investita di un certo rigore morale e di ispirazione kantiana. Per lui è necessario rimettere in piedi l’uomo completo, libero da alienazioni, riconciliato con la natura, capace di esprimere tutta la socialità, emancipato dalla sudditanza al dato capitalistico, che genera solo alienazione. È bene ripartire il lavoro ed evitare l’accumulo di ricchezze da parte di pochi.