Cultura
Esperienze di misticismo cristiano

Cercare l’Altro nella quotidianità vuol dire mettere in relazione il trascendente con l’immanente
La mistica è un’esperienza interiore attestata in molte civiltà e presenti in tante religioni (cristianesimo, islamismo, ebraismo, taoismo, induismo, buddismo). Il mistico cristiano non è un visionario, ma sceglie di vivere la Parola di Dio e i valori della fede nella quotidianità di tutti i giorni, radicandosi nell’evento sacrificale di Gesù morto in croce. È su questi presupposti che si basa il libro Interpellate (Edizioni Lindau 2025), redatto da Madre Maria Cristiana Dobner, carmelitana scalza. Nel volume la religiosa passa in rassegna l’esperienza mistica di cinque donne, la cui vita è stata segnata dall’irruzione dell’Altissimo e da un dialogo continuo e profondo tra fede e umanità. Sono Catherine de Hueck, Simone Weil, Etty Hillesum, Adrienne von Speyr e Silja Walter. Cinque nomi, cinque testimoni di un mutamento dell’anima, avvenuto grazie all’illuminazione divina che ha scosso la loro esistenza. “Donne che hanno saputo ascoltare, lasciarsi illuminare e mutare sé stesse e il mondo” scrive Dobner. La Serva di Dio Catherine de Hueck (1896-1985), attivista cattolica russa e infermiera durante la Grande guerra, visse in esilio in seguito allo scoppio della Rivoluzione del 1917. Il suo Sì alla chiamata di Dio la portò a dedicarsi ai poveri, in piena conformità alla spiritualità francescana, e a fondare, con un gruppo di giovani, la “Friendship House”, un’istituzione avente come finalità l’apostolato cattolico in mezzo ai più bisognosi, e la comunità di “Madonna House” che raccoglie uomini e donne, laici e presbiteri, desiderosi di diffondere i valori della solidarietà, della povertà e della preghiera. Fu una pioniera dell’apostolato laico in Nord America e un’antesignana per i diritti civili negli Stati Uniti. Il suo pensiero mistico è esplicitato nei testi Sobornost. L’unità della mente e del cuore, Viaggio interiore e Pustinia: le comunità del deserto oggi. Simone Weil (1909-1943), mistica, attivista partigiana e docente, ricercò instancabilmente la verità per tutta la vita. Si lasciò ispirare e sconvolgere dall’amore cristico, anche se scelse di non aderire alle forme istituzionali della religione, perché spinta dalla volontà di stare accanto agli esclusi. Lottò a favore di una società capace di dare da mangiare a tutti, combattendo contro i governi oppressivi e delineando una forma di comunità, basata sul concetto di libertà. Simone Weil si opponeva ad ogni forma di violenza, cercava sempre il dialogo tra istanze diverse, ed era mossa da una certa compassione verso gli altri. La sua ricerca spirituale fu segnata dall’episodio mistico che la spinse ad aderire al cristianesimo nel ’37: una forza sovraumana la fece inginocchiare nella cappella della Porziuncola di Santa Maria degli Angeli ad Assisi. Sentì il bisogno comunicarsi con Cristo mediante l’eucarestia, pur avendo sempre avanzato critiche e obiezioni alla Chiesa. Ciò che Weil ha cercato di mettere in evidenza, negli scritti redatti negli ultimi anni della sua breve vita, tra cui L’attesa di Dio e L’amore di Dio, è l’idea di un cristianesimo mistico in cui il rapporto verticale con Dio incide sulla comunità, che ritrova il suo carattere religioso. Etty Hillesum (1914-1943), giovane ebrea olandese, visse sulla sua pelle gli orrori della seconda guerra mondiale, guardando in faccia il dolore proprio e quello degli altri. Era convinta che il conflitto potesse cessare, solo ricercando la pace dentro di sé e amando il prossimo. La sua grandezza morale sta nel non aver risposto al male nazista con altro male. Sensibile, luminosa, vitalissima, empatica, introspettiva, affamata di conoscenza e di amore verso l’Altro e verso ciò che è esterno da sé, Etty aveva una sfaccettata ma interessante vita interiore, sostenuta dallo studio di autori come Rilke, Dostoevskij e Junk ma anche dalla lettura delle opere di Sant’Agostino e dalla conoscenza del Nuovo e del Vecchio Testamento. Ricercando il senso della vita, attratta com’era dal divino, credeva che bisognava “vivere la propria vita con Dio e in Dio e avere Dio in sé stessi” per dare valore alle proprie azioni. Riteneva che “un cuore pensante” dovesse sopravvivere al disastro bellico, sfoderando l’arma dell’amore. È quanto fece lei rifiutandosi di abbandonare il suo popolo e assistendo i malati. Venne uccisa ad Auschwitz a 29 anni nel novembre 1943. Di lei ci restano i suoi diari che affidò a Maria Tuinzing, con l’istruzione di pubblicarli se non fosse sopravvissuta. La mistica svizzera Adrienne von Speyr (1902-1967) mostrò, sin da giovane, una certa propensione per la dottrina giovannea e per gli insegnamenti di Ignazio da Loyola. Fece studi medici che le diedero la forza necessaria per stare vicino al prossimo sofferente. Una lunga ricerca personale e la conoscenza di von Balthasar, il suo padre spirituale, la portarono a convertirsi al cattolicesimo e ad abbandonare il calvinismo. Iniziò una vita dedicata alla preghiera, alla venerazione per la Madonna, alla contemplazione delle Scritture, allo studio dei passi biblici e della trinità, alla spiritualità e al misticismo. Ebbe ricorrenti visioni oniriche sull’aldilà, sulla discesa agli inferi di Cristo e sull’Apocalisse, connesse all’esperienza carismatica della Settimana Santa. Questo è quanto ritroviamo nel suo testo “La confessione” in cui dice, fra le altre cose, che il peccatore è tenuto a parlare delle proprie colpe per avere l’assoluzione, proprio come Gesù ha preso le colpe del mondo su di sé chiedendo il perdono paterno. Nel 1944 fondò a Basilea, insieme a Balthasar, la “Comunità di San Giovanni”, un istituto secolare della Chiesa cattolica dove laiche e laici, pur consacrati a Dio, restano nella società svolgendo il loro lavoro, ma cercando di portare l’amore di Dio nella vita quotidiana. La svizzera Silja Walter (1919 – 2011) è stata una suora benedettina, figlia del consigliere nazionale ed editore Otto Walter. La sua vita è stata segnata da un costante confronto con Dio e con la sua fede, nella quotidianità di tutti i giorni trascorsi nel monastero di Fahr nel pieno rispetto della Regola di San Benedetto. La sua produzione letteraria è incentrata sulla vita monasteriale e sul rapporto con la Sancta Regula. Ha redatto cronache, testi liturgici e rappresentazioni di misteri. Tra i mistici credenti che sono stati “interpellati” dalla Grazia, hanno fatto l’esperienza dell’alterità e hanno messo a confronto il loro volto con quello del Padre Eterno, c’è anche il gesuita francese Michel de Certeau (1925 – 1986), di cui quest’anno ricorre il centenario dalla nascita.

Seguace di Ignazio da Loyola e membro della Compagnia di Gesù, ebbe una formazione eclettica che spaziava dall’antropologia alla mistica, dalla psicoanalisi alla filosofia, dalla teologia alle scienze sociali. Dopo aver preso i voti nel ‘56, fondò la rivista “Christus” a cui dedicò tempo e dedizione per tutta la vita, e approfondì gli studi su Pierre Favre (1506-1546), primo sacerdote dell’ordine gesuita, autore del Memoriale ritrovato nell’Archivio della Gregoriana, canonizzato da papa Bergoglio a dicembre del 2013. Pubblicò nel 1982 Fabula mistica. XVI-XVII secolo, la sua opera principale, nella quale passa in rassegna una serie di donne, di eremiti e di illetterati coraggiosi ma timorati di Dio. In questo testo De Certeau intreccia più discipline, dalla critica letteraria alla psicoanalisi, dalla semiotica alla filologia, dall’analisi sociale all’indagine politica, per parlare dell’evento mistico che tocca la vita di personaggi come Eckhart (curatore delle anime dei frati e delle suore del suo ordine domenicano), Silesiu (poeta mistico), Teresa d’Avila (dottore della Chiesa e mistica spagnola), Giovanni della Croce (doctor mysticus) e Surin (mistico della Compagnia di Gesù), divisi tra il senso di obbedienza e la rivolta, tra ortodossia ed eresia. De Certeau tratta le pratiche spirituali della mistica, sostenendo che “è mistico colui o colei che non può fermare il cammino e che, con la certezza di ciò che gli/le manca, sa di ogni luogo e di ogni oggetto che “non è questo”, che qui non si può risiedere né contentarsi di “quello””. Come studioso della dimensione contemplativa, Michel era convinto che “se la preghiera aspira ad incontrare Dio, l’appuntamento è sempre fissato sulle terre dell’uomo, all’incrocio del suo corpo e della sua anima”. Il religioso lesse anche la storia culturale del suo tempo, facendo continui appelli al concetto di libertà dell’uomo e ad una “cultura plurale”, in grado di garantire spazi aperti di movimento e occasioni di apprendimento creativo. Nell’opera La Cultura al plurale, l’autore lancia un messaggio chiaro: “Aprire dei possibili, allestire uno spazio di movimento in cui possa sorgere una libertà”.

