Il russo Merežkovskij, lettore di Gioacchino da Fiore

L’intellettuale venne a conoscenza del pensiero dell’abate calabrese leggendo le opere di Schelling e di Sand

La fama di grande filosofo e teologo che circonda la figura di Gioacchino da Fiore è giunta fino in Europa orientale, suscitando un vivo interesse da parte di scrittori e letterati interessati al suo pensiero. Uno di questi è Dmitrij Sergeevič Merežkovskij, tra i principali rappresentanti della vita letteraria russa di fine ‘800 e inizio ‘900. Nato a San Pietroburgo nel 1865 e morto a Parigi nel 1941, è stato poeta, narratore e filosofo. Nel 1903-04 fonda con la moglie, la poetessa Zinaida Gippus, la rivista decadente Novyj Put’ (“La nuova strada”) raccogliendo in casa sua a Pietroburgo i nuovi seguaci delle correnti estetiche e filosofiche del XX secolo. La testata si propone come veicolo di contenuti religiosi e filosofici, mirando a promuovere la cosiddetta dottrina della “Ricerca di Dio”, attraverso i mezzi artistici del simbolismo russo. Dmitrij nutre sentimenti contrari sia all’autocrazia zarista che alla causa bolscevica (il regno dell’Anticristo). Dopo la Rivoluzione d’Ottobre del 1917 è costretto a trasferirsi con la moglie prima a Varsavia e poi a Parigi. Si reca anche in Italia della quale si innamora fin dal primo momento, finendo per scrivere novelle sulla cultura rinascimentale italiana ed europea, prediligendo la figura e le opere di Leonardo da Vinci. Redige un panegirico sul Sommo Poeta che indirizza a Mussolini e si appassiona perfino alla vita di Santa Teresa di Lisieux, recandosi ai piedi del Gianicolo in una casetta in cui la santa aveva vissuto alcuni giorni. Essendo uno spirito libero si rifiuta di aderire ad un’ideologia specifica, tanto meno a quella dei totalitarismi. Dalla sua condizione di esiliato all’estero riesce ad imporsi ugualmente nell’intellighenzia russa, tenendosi stretti i suoi pensieri. Convinto che l’arte sottostà alla religione, diventa un attento analista dei problemi sociali, politici e spirituali della Russia del tempo. Merežkovskij getta le basi per lo sviluppo del “simbolismo russo”, un movimento sorto in seno al Decadentismo intorno alla prima metà del 1890, che decreta la fine del realismo a cui avevano aderito Dostoevsky e Tolstoj. I simbolisti sostengono l’autonomia della poesia e sono orientati al libero flusso dei significati. Per loro la parola diventa sfumata e incerta e si carica di musicalità, consentendo un allontanamento dal mondo concreto e un avvicinamento al trascendente e all’irrazionale. Gli intellettuali comprendono che il mondo è complesso e incomprensibile razionalmente: tutto diventa più barocco, l’arte è il vertice di ogni attività umana ed è la cosa che più avvicina a Dio. Le parole sono simboli che stanno a metà tra il nostro mondo e qualcosa di superiore, comunicano significati profondi e, grazie al loro uso, stimolano l’uso creativo della lingua. Nel saggio Sulle cause delle decadenza e sulle nuove correnti della letteratura russa contemporanea (1893), nel quale viene impiegato per la prima volta il vocabolo “simbolismo”, Dmitrij descrive il cammino dell’umanità verso il futuro “regno dello spirito”, sintesi di paganesimo e di fede cristiana. Sulla teoria dei tre regni, una variante della triade hegeliana, si imperniano le due trilogie Cristo e Anticristo (1896-1905) e 14 dicembre 1917. Nella prima lo scrittore manifesta il suo pensiero religioso, descrivendo l’antitesi tra la concezione della santità della carne e della sacralità dello spirito, mentre nella seconda trilogia tratta eventi drammatici della storia russa. Scrive anche un saggio molto importate intitolato Mondo dell’arte (1901), contrapponendo Tolstoj, poeta della carne, a Dostoevskij, poeta dello spirito. Particolarmente interessante, durante l’esilio, è il pellegrinaggio culturale che Merežkovskij compie in Calabria, nei luoghi a devozione gioachimita. Si reca infatti, negli anni Trenta del Novecento, proprio nelle località di Gioacchino da Fiore per conoscere la Calabria gioachimita e per “vedere e respirare quella natura, quell’aria”. Nell’opera intitolata Tre santi: Paolo, Agostino, Francesco (1936) scrive che “Gioacchino nacque a Celico in Calabria, in una terra sita fra tre continenti: Europa, Asia e Africa; le vette nevose della quale guardano due mari: lo Jonio occidentale e latino e l’Egeo orientale e greco. In Calabria, ai tempi di Gioacchino, si respirava un’aria di universalità come forse in nessun’altra terra del mondo cristiano.  I monaci di quei conventi montani potevano spingere lo sguardo non solo verso la metà occidentale del mondo cristiano, ma anche verso quella orientale; non solo, cioè, verso l’unità passata, ma anche verso l’unità futura dell’umanità cristiana nella Chiesa universale. Gioacchino, quando fece ritorno in Calabria, fondò il convento di San Giovanni in Fiore sull’altopiano della Sila, in un bosco secolare di pini, circondato da cime nevose, dove il silenzio profondo è turbato soltanto dal tubare mattutino dei colombi, dallo stridìo meridiano delle aquile, dal mormorio lontano dei torrenti, dal rombo delle valanghe”. Nella stessa opera Dimitrij narra che, alla vigilia della sua morte, Gioacchino abbia predicato sul Terzo Testamento e sull’avvento dell’età dello Spirito Santo, dell’amore spirituale e dell’unità con Dio, in seno alla sua teoria della storia intesa come evoluzione che attraversa tre età, ognuna delle quali è incarnata da un Testamento: l’Antico Testamento (il Padre), il Nuovo Testamento (il Figlio), il Terzo Testamento (lo Spirito Santo). La predicazione avviene forse a Celico vicino Cosenza ai piedi dell’Appennino calabro, in un antico oratorio o chiesa in stile greco-romanico, ormai settantenne. Merežkovskij viene a conoscenza dell’abate calabrese forse dai riferimenti che ne fanno Schelling e George Sand, rispettivamente nelle Rivelazioni filosofiche (1854) e nel romanzo Spiridion (1838). In più gli sono noti i testi Gioacchino da Fiore. I tempi, la vita, il messaggio (1930) di Ernesto Buonaiuti e Joachim de Fiore di Evgenij Anickov, nei quali viene descritta la rivoluzione rappresentata dal pensiero gioachimita, l’eredità che il religioso ci ha lasciato e che continua a influenzare il nostro tempo. Lo scrittore russo può essere considerato un lettore appassionato di Gioacchino, che considera un suo compagno di viaggio contribuendo a diffonderne le idee. Gli ultimi studi che compie riguardano, ancora una volta, Gesù ma anche Napoleone, Dante e Sant’Agostino. Tra le sue pubblicazioni si ricordano Il regno dell’Anticristo (1920) e Vite di santi da Gesù ai nostri giorni (1936-1938).