Cultura
Giochi di luce, cielo e terra, divino e umano nella mostra su Beato Angelico
La rassegna mostra i tanti volti del frate domenicano che combinò elementi gotici con moduli rinascimentali
Beato Angelico. Luce di cielo in terra è il titolo della mostra inaugurata nella doppia sede di Palazzo Strozzi e del Museo di San Marco a Firenze, visitabile fino al 25 gennaio. È nata dalla collaborazione tra la Fondazione Palazzo Strozzi, il Ministero della Cultura – Direzione regionale Musei nazionali Toscana e il Museo di San Marco. I curatori sono Carl Brandon Strehlke del Philadelphia Museum of Art, Angelo Tartuferi, già Direttore del Museo di San Marco, e Stefano Casciu, Direttore regionale Musei nazionali della Toscana. L’esposizione consta di oltre 140 opere tra dipinti, disegni, sculture e miniature provenienti da biblioteche, collezioni italiane e straniere, chiese e musei tra cui il Louvre, la Gemäldegalerie berlinese, il Metropolitan Museum of Art di New York, la National Gallery di Washington, i Musei Vaticani, le Alte Pinakothek di Monaco e il Rijsmuseum di Amsterdam. La mostra è stata aperta in seguito ad un lungo e certosino lavoro, durato ben quattro anni, che ha portato al restauro di vari capolavori e di pale parzialmente smembrate. È un meraviglioso omaggio a Guido di Pietro detto Beato Angelico, tra i più influenti artisti del primo Quattrocento, nonché uno dei padri del Rinascimento italiano che trovò la sua pace nel Convento di San Domenico, sulle colline intorno a Firenze. Fu un pittore rivoluzionario che – come disse Vasari – “spese tutto il tempo della sua vita in servigio di Dio e benefizio del mondo e del prossimo”, realizzando un tipo di arte che fonde stili diversi in maniera innovativa. La rassegna intende svelare le abilità comunicative di questo genio visionario, che è stato in grado di trasmettere la bellezza del messaggio universale di armonia e di pace, giocando con gli effetti di luce e creando una connessione tra umano e divino, tra cielo e terra, tra linguaggi artistici eterogenei e spiritualità condivisa. Fra’ Giovanni da Fiesole cercò di relazionare i principi artistici rinascimentali, come la prospettiva e l’attenzione alla volumetria della figura umana, con i valori medievali, compresi la funzione didascalica dell’arte sacra e il valore mistico della luce, realizzando composizioni ben equilibrate e calcolate. Attraverso i capolavori esposti, inoltre, si vogliono mettere in risalto le influenze esercitate dal maestro sulla cultura del tempo e i suoi rapporti con grandi personalità, tra cui Lorenzo Monaco, Masaccio, Filippo Lippi, Lorenzo Ghiberti, Michelozzo e Luca della Robbia. Il pittore di Vicchio dipinse ingegnosamente le storie dei santi, di Cristo, della Resurrezione e di Maria, esprimendo così la sua volontà di tendere all’infinito. La mostra inizia con l’imponente Crocifissione, l’affresco più ambizioso di Angelico realizzato intorno al 1432, conservato nel Convento di San Domenico a Fiesole. La drammatica scena della crocifissione è carica di pathos, visibile nello svenimento della Vergine, e contiene elementi che testimoniano l’accostamento dell’autore alle nuove tecniche prospettiche, come la rappresentazione della testa di Gesù reclinata centralmente verso il basso. Nel Giudizio universale (1431 circa) del Museo di San Marco a Firenze sono impresse tracce del gusto tardogotico di Lorenzo Monaco, e sono identificabili i primi indizi rinascimentali con la profondità spaziale. Nei pannelli laterali dell’opera sono raffigurate, rispettivamente, la “Pentecoste” e la “Predica di san Pietro”, a sinistra, e l’ “Ascensione di Cristo”, a destra. Nel riquadro centrale Cristo è incastonato in una specie di mandorla, con la mano destra che indica l’inizio del Giudizio universale, mentre a sinistra e a destra sono dipinti, rispettivamente, i beati e i dannati. La Pala di Annalena (1436), conservata nel Museo Nazionale di San Marco a Firenze, è anch’essa un perfetto connubio tra arte tardogotica e novità rinascimentali. Notiamo sullo sfondo un tessuto dorato, che conferisce l’illusione del fondo oro gotico, appeso alle nicchie rinascimentali. L’opera rappresenta la “sacra conversazione”, vale a dire un colloquio su temi teologici tra i santi alla presenza della Vergine, poi ripreso e ribadito nella Pala di san Marco (1438-43). La mostra accosta le opere di fra’ Giovanni a quelle di altri artisti. Pensiamo al confronto tra la Pala di san Domenico aFiesole (1425) dell’Oratorio di San Donato di Scozia, splendido esempio di venerazione per i santi, e la Madonna dell’umiltà (1403) di Starnina in prestito dal Museo Diocesano di Milano. Il sacerdote domenicano dipinge Maria in trono con Gesù nudo al centro intento ad afferrare due rose, otto angeli in adorazione posti in emiciclo, san Tommaso d’Aquino e san Barbaba, a sinistra, san Domenico di Guzmán e san Pietro martire, a destra. La tela sembra un aggiornamento e un omaggio a quella realizzata da Starnina, nella quale è fortemente accentuato lo stile gotico, comprensibile dal ritmico ricadere delle vesti della Madonna. Le figure dei santi dipinti con drappeggi voluminosi nella Pala di Fiesole del frate-artista richiamano le sculture di Lorenzo Ghiberti, che combinò elementi del gotico internazionale con moduli rinascimentali, dando luogo a composizioni armoniose e attente ai dettagli. Angelico riprese anche l’arte di Masaccio, suo maestro, nel Trittico di san Pietro Martire (1428-29), per la prima volta riunito alla sua predella, esposto a fianco del Trittico di san Giovenale (1422) del suo mentore, in prestito dal Museo d’Arte Sacra di Reggello. Fra’ Giovanni colse la portata rivoluzionaria del suo maestro, che predilesse la prospettiva geometrica e la tridimensionalità, ma preservò anche alcune componenti gotiche avversate dal pittore di Arezzo. Queste e altre opere celebrano l’eccezionalità del pittore santo, nominato “patrono universale degli artisti” nel 1982 per volontà di san Giovanni Paolo II.
