Cultura
Il valore della preghiera per Jean Daniélou

L’attualità del pensiero del cardinale francese sta nell’aver compreso il bisogno della Santa Sede di adeguarsi ai tempi
La morte di papa Francesco e l’ascesa la Soglio pontificio di Leone XIV hanno riportato in auge alcune questioni molto importanti e da sempre dibattute: il peso che il cristianesimo ha nella società del XXI secolo, quale sarà il suo futuro e in che misura la preghiera inciderà negli anni a venire sulla vita della Chiesa. Sono quesiti attuali e delicati da non sottovalutare, specialmente dinnanzi ad una prepotente secolarizzazione dei costumi che pervade l’umanità, e ad una tecnologia che innerva tutti gli aspetti della civiltà apportando enormi trasformazioni alla quotidianità delle persone. In tutto ciò bisognerebbe capire come il cristianesimo possa ancora farsi strada nella coscienza umana, lasciando un segno di contraddizione rispetto alla deriva cui tende il mondo contemporaneo. Ci viene in aiuto il libro La preghiera come questione politica (EDB 2025) del cardinale Jean Daniélou, uno dei teologi più rappresentativi del Concilio Vaticano II, esperto di teologia patristica e di storia antica del cristianesimo. L’alto prelato francese, nato nel 1905 a Neuilly-sur-Seine, fu elevato alla dignità cardinalizia da Paolo VI, che ne lodò la competenza erudita e lo zelo ardente per l’apostolato. Condivise con Montini l’apertura progressista della Chiesa al mondo, divenendo uno dei massimi esponenti della “Nouvelle Théologie” che voleva innescare un rinnovamento in seno alla teologia cattolica in vista del Concilio Vaticano II, tornando alle fonti patristiche e bibliche e distaccandosi dalla scolastica. Daniélou difese la libertà teologica pur consapevole della necessità di dover tutelare il deposito della fede. Era il 20 maggio 1974 quando il prelato morì nell’appartamento di una prostituta corsa, divenendo oggetto di calunnie feroci da parte degli ecclesiastici e dei confratelli gesuiti. Fu sollevato da ogni sospetto quando si capì, dopo un’attenta analisi della sua azione pastorale, che tra i suoi doveri c’erano anche la conversione e il sostentamento economico di prostitute e di gente di malaffare. Daniélou era apprezzato da Benedetto XVI che condivideva con lui l’amore per la liturgia, per la teologia e per i Padri della Chiesa. Nel libro Preghiera come questione politica, pubblicato nel 1965, uscito in Francia nel 2012 e tradotto solo ora in Italiano da Riccardo Rinaldi, Daniélou si interroga sul futuro della Chiesa e con quali formule il Vaticano possa raggiungere i suoi fedeli mediante la Parola di Dio. Questo volume rimarca l’importanza della preghiera per l’uomo moderno, calato in una società ipertecnologica che sta cambiando i suoi ritmi vitali. La Chiesa è chiamata ad adeguare la sua azione pastorale alle epoche mutevoli, pur preservando la sua testimonianza plurisecolare. Nel testo si legge che “il cristianesimo deve essere un sale o un lievito, e non lasciarsi diluire nell’impasto”, deve preservare il suo sapore radicandosi nel passato ma proiettandosi al futuro. Daniélou si pone alcune domande: “com’è possibile un grande popolo cristiano nella civiltà di domani?”. “E qual è l’avvenire della preghiera in questa civiltà?”. La sua tesi è che la preghiera sia una questione politica, non intesa come una presa di posizione rispetto alle ideologie partitiche, ma come atto concreto che crea un legame tra la religione e la società, come disponibilità a entrare nella dimensione della lode a Cristo che è l’atteggiamento spirituale per eccellenza. La città (politica) deve consentire la preghiera e darle il giusto valore ma, ancor di più, la Chiesa è chiamata a non restringersi a piccole cerchie di persone. Infine la società di oggi non deve trascendere la dimensione e lo sviluppo spirituale della gente. Nel testo l’intellettuale francese riporta parole attuali e molto vicine a quelle pronunciate recentemente da Leone XIV: “La Chiesa per Sant’Agostino è simile a una rete che raccoglie insieme pesci buoni e pesci cattivi, ma di cui non sta a noi fare la cernita” oppure “La riduzione del cristianesimo a un ideale terrestre, e di Cristo a una sorta di filantropo, è la peggior denigrazione della nostra religione”. Il nuovo pontefice, che dal primo momento si è definito “figlio di Sant’Agostino” richiamandosi ai valori della sinodalità, della dedizione e della missionarietà, condivide con Daniélou il pensiero che la Chiesa debba farsi sempre più umile, mettersi a servizio, creare comunione e stare accanto ai poveri e ai diseredati. Il teologo francese termina il testo dicendo che “la superiorità del cristianesimo non va cercata nell’ordine della civiltà, ma nel fatto che esso arrivi là dove alla civiltà non è concesso, ovvero negli abissi della miseria dell’uomo, e nelle profondità recondite del suo cuore”. Il messaggio genera un’eredità viva tra le genti: parlare ai presenti con una voce che ha radici profonde nel passato.
