Leone XIV venera San Paolo e canta Agostino

Cantore di Agostino. Leone XIV prende possesso della basilica di San Paolo fuori le Mura, venera le spoglie dell’Apostolo, poi offre un’allocuzione breve ma intensa, che riflette il suo carisma sulle orme dell’Ipponate.
Parla di amore, papa Prevost. Riconosce l’iniziativa di Dio, che si fa concretezza nella vita dell’uomo. “Se non siamo stati prima amati, non possiamo nemmeno amare”, afferma richiamando un testo dei Discorsi del santo vescovo. Nemo dat quod non habet, e chi ama nella fede di Cristo (in vista della pace e la giustizia), ama perché a sua volta amato da Dio.
Cita Benedetto XVI, papa Prevost, quell’esortazione accorata nella tempesta di pioggia della veglia madrilena alla GMG 2011. Una parola che disse l’amore di Dio, la stessa offerta che Leone compie a quanti lo ascoltano.
Un amore incarnato, non di un destino cieco, di una mera predestinazione, quasi gnostica, né di una mera libertà dell’uomo, che da solo non è in grado di procurarsi la salvezza. Parla come Agostino ai pelagiani. “La salvezza non viene per incanto, ma per un mistero di grazia e di fede, di amore preveniente di Dio, e di adesione fiduciosa e libera da parte dell’uomo”. Non sufficit la libertà dell’uomo. Serve la grazia.