Ricordo di Paolina Gervasi Mantovani, poetessa di Carpanzano

La donna viveva per scrivere e per dare voce ai suoi impulsi e ai turbamenti della sua anima

Le piccole realtà locali vivono di tradizioni, di profumi, di sapori e di detti nati nel solco di un passato lontano, che rischiano di soccombere alla logica della post-modernità e alla globalizzazione. C’è, tuttavia, un patrimonio di parole che continua a rivivere nella mente della povera gente, plasmando il loro modo d’essere. Sono le parole della scrittrice e poetessa Paolina Gervasi Mantovani, originaria di Carpanzano dove nacque nel lontano 1907. Nel corso della sua vita scrisse versi memorabili senza fronzoli, né artifici o nascondimenti, in uno stile franco, fresco e diretto. Nei suoi poemi Paolina è riuscita a riproporre le immagini della natura, mediante termini accuratamente selezionati e ricchi di significato. Scrisse tante raccolte di poesie tra cui Arpeggi, Verso l’occaso, Tralci e sarmenti, ma anche una serie di racconti brevi raccolti nel volume Piccole storie (1986). Risale al 1998, l’anno prima della sua morte, la pubblicazione della sua ultima raccolta di liriche dal titolo Ore, minuti, attimi, in cui riflette sullo scorrere del tempo, sulla condizione della natura umana, sul tempo passato e sui ricordi, nella consapevolezza che la vita si sta per concludere e restano solo gli ultimi istanti da assaporare. Per la poetessa il passato non si accumula in un unico blocco, ma lo si rivive “attraverso un vetro appannato”, lo si ricostruisce attraverso legami di memoria e brevi frammenti esistenziali, scanditi da ore, minuti e attimi. L’amore per la poesia ha accompagnato Paolina lungo tutta la sua lunga vita, che ha attraversato quasi tutto il novecento. Fu nominata Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana nel 1996, le sono stati intitolati, dopo la morte, un largo a Cosenza, dove ha vissuto, e una via a Taranto, e ha ricevuto una targa commemorativa collocata nel giardino del III Municipio di Roma. La lirica ha rappresentato per lei un mezzo per astrarsi dalla realtà, fuoriuscendo dallo squallore della quotidianità. I versi che componeva – come ricorda Emilio Tarditi – le servivano per allontanarsi, anche solo per qualche istante, dalle “asprezze della vita, […] alla ricerca della parola poetica come assoluta esigenza espressiva per lenire una ferita, sanare una piaga o esaltare la gioia e la felicità”. Questa donna amava mostrarsi per quella che era, sottoponendosi anche al giudizio degli altri pur di osservare il mondo. Nei suoi novantadue anni di vita i temi che ha toccato nelle sue creazioni letterarie riguardano la famiglia, i sentimenti, i ricordi, la natura e la sua amata Calabria. Era sempre in cammino alla ricerca della bellezza delle piccole cose e dei misteri. “Allenta la tua morsa, / – destino – allenta. / non far che i tuoi tentacoli / mi serrino la gola; / non farti piovra. […] Arbitro sei d’ogni esistenza umana / ed io ti temo… / ho paura di te, cieco destino” scriveva. A fine giornata si rendeva conto di quanto contasse per lei la scrittura, lo strumento che meglio le permetteva di “estrinsecare /pena, gaudio, esitanza, fede, amore, / tutti gli impulsi, tutti i turbamenti / dell’anima e del cuore. La vita di questa donna è stata – come lei stessa ebbe modo di scrivere – “un ruscello gorgogliante / che si è snodato placido e occulto / che ora s’avvia / senza sussulti e balzi / verso la foce ormai non più lontana”.