Il cristianesimo nelle letteratura dell’anglo-irlandese Clive Lewis

Lo scrittore da ateo si convertì al cattolicesimo, riconoscendo l’esperienza concreta del sacrificio di Gesù

La letteratura fantastica insegna tanto alla nostra vita e può aiutarci a riscoprire il valore della fede cristiana. Possiamo considerarla come un ponte di comunicazione tra il mondo immanente e quello trascendente, in linea con il pensiero del filosofo e saggista bulgaro Cvetan Todorov che, nel volume La letteratura fantastica (1977), sostiene che “il fantastico non è altro che la scelta che il lettore compie fra la spiegazione naturale e quella sovrannaturale di un fatto insolito”. Tra i tanti scrittori che sono stati capaci di conquistare il cuore dei lettori offendo, attraverso i propri racconti di fantasia, una chiarissima rappresentazione del proprio credo cristiano c’è l’anglo-irlandese Clive Staples Lewis, autore del famoso classico per ragazzi Le Cronache di Narnia. Nel libro di recente pubblicazione intitolato Alla scoperta di Narnia. Una guida al mondo fantastico di C.S. Lewis (Fede&Cultura 2025), l’esperto di fantasy nonché grande conoscitore di Tolkien, Paolo Gulisano, conduce il lettore a riscoprire i significati allegorici e i temi legati all’eternità presenti nel grande capolavoro di Lewis. Quest’ultimo, inizialmente ateo, si converte al cristianesimo tra il 1929 e il 1931, influenzato dalle discussioni con il suo amico e collega Tolkien, da sempre cattolico, e da Hugo Dyson, anglicano. Clive si convince che la morte e resurrezione di Cristo abbiano salvato il mondo e che tutto ciò abbia generato un mito, diventato poi storia e avvenimento concreto. Il suo itinerario spirituale è quindi complesso e tormentato, e quando giunge ad ammettere l’esistenza del Signore, si definisce “il convertito più riluttante di tutta l’Inghilterra”. Nell’autobiografia Sorpreso dalla gioia (1955) racconta così il suo cambiamento: “Durante il trimestre della Trinità del 1929 mi arresi, ammisi che Dio era Dio e mi inginocchiai per pregare … Allora non mi avvidi di quello che oggi è così chiaro e lampante: l’umiltà con cui Dio è pronto ad accogliere un convertito anche a queste condizioni. Per lo meno, il figliol prodigo era tornato a casa coi suoi stessi piedi. Ma chi potrà mai adorare adeguatamente quell’amore che schiude i cancelli del cielo a un prodigo che recalcitra e si dibatte, e ruota intorno gli occhi risentito in cerca di scampo? Le parole “compelle intrare”, obbligali ad entrare, sono state così abusate dai malvagi che a sentirle rabbrividiamo ma, opportunamente comprese, scandagliano gli abissi della misericordia Divina. La durezza di Dio è più mite della dolcezza umana, e le Sue costrizioni sono la nostra liberazione”. Le Cronache di Narnia sono un’opera carica di simbolismo religioso. Tra le sue pagine viene descritta una terra incantata, pregna di riferimenti al trascendente e popolata da creature mitologiche, da animali parlanti e da bambini. Gli occhi della piccola Lucy, che incarna “lo stupore e la meraviglia”, conducono il lettore dentro una dimensione nella quale spiccano figure tra cui quella del leone Aslan, simbolo della grazia, della speranza e del sacrificio (tutti elementi cristiani). Gli altri eroi descritti sono realistici e imperfetti: Peter incarna lo “spirito di avventura”, Susan il “senso comune e pratico”, Edmund la “giustizia” che si consegue dopo la fragilità e il tradimento, Caspian è il “coraggioso, valente e generoso cavaliere” chiamato a combattere a favore del bene. Ci sono animali che si scontrano, alcuni dei quali sono buoni (il topolino Ripicì), altri sono negativi (lo scimmione Shift e l’asino Puzzle), emblemi rispettivamente dell’idolatria e del caos che scompigliano l’ordine e la verità. Narnia è “la terra creata bella, piena di cose armoniose e ben fatte: il suo signore, il grande leone Aslan, lotta per mantenerla tale e per vederla fiorire contrastando la malvagia invidia della Strega Bianca che vorrebbe essere la padrona assoluta, che vorrebbe addirittura ergersi a divinità e che sfoga la sua rabbia distruggendo il bello e il buono, e cercando di fare del mondo una terra desolata” scrive Gulisano nel suo nuovo saggio. È un mondo che scende a patti con la realtà, che la fa amare e la fa conoscere in profondità. In particolare “il fantastico esiste dentro la categoria del reale – come spiega Rosemary Jackson ne Il fantastico. La letteratura della trasgressione (1986) –  con cui stabilisce una relazione simbiotica; il fantastico dà voce a tutto ciò che non può essere detto, a tutti quegli elementi conosciuti mediante la loro assenza dal reale”. Le Cronache affrontano temi quali il bene, il male, il coraggio, il tradimento, la ricerca, il potere, il sacrificio e la redenzione. Alla paura su cui fanno leva i cattivi si oppone il coraggio, sbandierato dai cuori che si sentono amati. Tutte le creature attendono il giudizio di salvezza o di condanna da parte di Aslan (alter ego di Dio) per le azioni che hanno compiuto, e guardano con più chiarezza ogni cosa intorno e dentro di loro. Il testo prende le distanze dalla mostruosa deriva eugenetica di derivazione darwiniana, che pretende di sostenere le qualità innate di una razza avvalendosi delle leggi dell’ereditarietà genetica, radicandosi nel cuore dell’uomo come un male. La cura migliore è quella dei cuori predisposti a cercare sempre la presenza di Dio, perché “il mondo è affollato di Lui”. Lewis è un apologeta del cristianesimo che ha suscitato l’ammirazione di teologi come Hans Urs Von Balthasar e Benedetto XVI, nonché la stima di papa Giovanni Paolo II, perché è riuscito a parlare al cuore degli uomini in modo diretto.