Cultura
Etica e comunità in MacIntyre

Il filosofo cattolico fece le sue ricerche sull’etica e la religione attingendo alle lezioni di Aristotele e di Tommaso d’Aquino
Si è spento all’età di 96 anni Alasdair MacIntyre, tra i più influenti filosofi cattolici dell’epoca contemporanea, interessato alla teologia, all’etica delle virtù e al comunitarismo. Per tutta la vita si interroga sui grandi problemi dell’uomo, ricercando instancabilmente la verità senza mai accontentarsi di facili soluzioni, in linea con l’insegnamento di Sant’Agostino: “Quaestio mihi factus sum” (Io stesso sono diventato domanda). Quest’intellettuale, nato a Glasgow nel 1929, insegna filosofia della religione, filosofia e sociologia in vari atenei inglesi e americani. Da giovane aderisce al marxismo, ritenendolo una scuola di pensiero in grado di contribuire al perseguimento dello scopo principale del cristianesimo medioevale, cioè la ricerca del senso della vita sia come identità sociale che comunitaria. Se ne allontana subito dopo la Rivoluzione d’Ungheria del 23 ottobre 1956, consapevole dell’incapacità di tale ideologia di condurre una vera indagine sui principi morali che sottostanno all’esistenza umana, e senza i quali l’essere non può sopravvivere. Alla fine degli anni sessanta si trasferisce negli Stati Uniti ma non abbraccia mai la cultura liberale e capitalista, giudicando una società votata alla logica del mercato e del denaro distante dall’ideale di una vita vissuta alla luce dell’etica. MacIntyre scorge nel concetto di “volontà di potenza” di Friedrich Nietzsche alcuni spunti, necessari per portare avanti la sua tesi. La volontà di potenza si definisce come tendenza all’incremento e allo sviluppo, una lotta per migliorare sé stessi, un desiderio di crescita e di affermazione del proprio “Io” senza prevalere sugli altri. È l’essenza stessa dell’Oltreuomo che, secondo Nietzsche, si solleva oltre i valori tradizionali e le convenzioni morali. MacIntyre, tuttavia, vuole evitare un approccio troppo nichilista, che non contempla né valori né scopi individuali o collettivi, approssimandosi alla filosofia aristotelica, prima, e a quella tomista, a partire dalla metà degli anni ottanta, in concomitanza con la sua conversione al cristianesimo, favorita dai confronti con Elisabeth Anscombe, con il cardinale Newman e con Edith Stein. Dà testimonianza di questa svolta nel volume Dopo la virtù (1981), nel quale traccia un giudizio sulla cultura morale nell’epoca moderna. Per costruire un progetto di vita condiviso il pensatore scozzese ritiene errato un approccio troppo emotivista, che porterebbe ad emettere giudizi morali senza valutazioni razionali, così com’è inconsistente l’idea di un’etica astratta e universale. In Giustizia e razionalità (1988) spiega l’esistenza di costumi e di pratiche locali, che nascono per rispondere a particolari sfide sorte in contesti specifici. Ciò che conta è saper discutere determinate scelte, mettendo in pratica quelle virtù che fanno uscire dal disordine morale dei tempi odierni, dando la possibilità all’uomo di costruire una comunità basata sull’idea di dare e ricevere, come sostiene in Animali razionali dipendenti (1999). Aristotele e Tommaso d’Aquino gli forniscono la visione giusta di comunità, sottratta all’individualismo e all’economicità del pensiero di Marx e del capitalismo. Secondo la concezione realistica aristotelica, il mondo è formato da individui dotati di proprietà, che risiedono in essi stessi, esistono indipendentemente da ipotetiche idee astratte precedenti, e contribuiscono ad edificare un’esperienza umana comune. San Tommaso d’Aquino parla invece di “beatitudo”, intendendolo come l’instancabile ricerca della felicità a cui aspira l’essere, cioè il suo conformarsi a Dio che è il suo fine. Nell’opera L’etica nei conflitti della modernità (2016) MacIntyre sostiene che l’uomo può tendere a questo obiettivo e raggiungere il massimo della sua maturità, costruendo una vita comunitaria mediante la condivisione, con gli altri soggetti, di una serie di pratiche sociali (educazione, matrimonio, relazioni comunitarie, associazioni, ricerca intellettuale, mestiere ecc) che si concretizzano nell’esercizio delle virtù (saggezza pratica, coraggio, moderazione, giustizia, umiltà ecc). Questa collaborazione permette a tutti di godere dei beni collettivi e di perseguire anche quelli personali. In questo modo si supera la logica del guadagno capitalista e del vantaggio economico, che generano egoismo e creano disuguaglianza. MacIntyre preconizza alla fine del volume Dopo la virtù l’avvento di un nuovo San Benedetto che, durante il Medioevo, istituì un modello di comunità centrato sulla preghiera, sullo studio, sul lavoro e sull’etica, nel quale e intorno al quale le persone potevano non solo sopravvivere, ma evolversi in un periodo di oscurità sociale e culturale.
