Cultura
Latino, lingua per l’elezione papale

L’idioma di Cicerone scandisce le tappe fondamentali del Conclave
Proseguiamo con alcuni dettagli interessanti riguardanti la procedura del Conclave, per l’elezione del nuovo pontefice della Chiesa cattolica.
Concentriamoci sulla lingua impiegata durante l’assemblea e sulle storiche formule di rito. L’idioma ufficiale usato dai cardinali in clausura è l’italiano, non sono ammessi interpreti nella Cappella Sistina e, per quanto riguarda i porporati non italofoni, ci si affida alla carità cristiana. L’intera procedura del conclave ha la struttura di una liturgia solenne, con elementi sia religiosi che specificamente elettorali. È scandita da un ricco insieme di formule in latino, la lingua ufficiale della Santa Sede. L’Ordo rituum conclavis, pubblicato dall’Ufficio delle Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice, prevede una serie di espressioni latine, a partire dalla processione per l’ingresso nella Sistina, proseguendo con il canto delle litanie dei santi e del Veni Creator Spiritus, fino al giuramento sul Vangelo e all’Extra Omnes. Partiamo proprio da quest’ultima formula. Una volta che l’ultimo porporato ha solennemente pronunciato il giuramento, il maestro delle celebrazioni liturgiche proclama l’Extra Omnes (Fuori Tutti), intimando ad uscire chi non ha diritto a restare nella Cappella Sistina, essendo il Conclave rigorosamente segreto. Questa formula è costituita dall’accostamento dell’avverbio “extra” al sostantivo maschile plurale di III declinazione (caso accusativo) “omnes”. La scheda elettorale è costituita da due sezioni, in base a quanto stabilito dalla costituzione Universi dominici gregis di San Giovanni Paolo II: la parte superiore reca la scritta in latino Eligo in Summum Pontificem (“Eleggo Sommo Pontefice”), mentre la parte inferiore è riservata alla dicitura del nome. Al termine del conteggio, se i cardinali scrutatori si rendono conto che uno dei papabili ha raggiunto i due terzi dei voti, allora viene eletto come nuovo pontefice. Il Cardinale Decano, o il primo dei Cardinali più anziani, gli chiede il consenso pronunciando la frase Acceptasne electionem de te canonice factam in Summum Pontificem? (Accetti l’elezione a Sommo Pontefice?). Se accetta allora gli viene chiesto il nome con cui vuole essere conosciuto dal mondo cristiano, con l’espressione Quo nomine vis vocari? (Come vuoi essere chiamato?). Il protodiacono, in base a quanto stabilito al n. 74 dell’Ordo Rituum Conclavis, annuncia l’elezione e il nome del nuovo romano pontefice dalla Loggia della Basilica vaticana, da cui il neo eletto impartisce la Benedizione Urbi et Orbi. L’espressione Habemus papam risale al 1417, quando fu eletto papa Martino V. Prima della salita al Soglio pontificio di quest’ultimo, c’erano state delle diatribe tra tre candidati che aspiravano a rivestire la suprema carica. La scelta di pronunciare, da quel momento in poi, questa famosa formula fu un modo per sancire definitivamente che i porporati avevano un nome preciso. Dal 1484 la sua adozione è certa a partire dalla nomina di Giovanni Battista Cybo, conosciuto come Innocenzo VIII. La locuzione completa recita: “Annuntio vobis gaudium magnum: habemus Papam! Eminentissimum ac Reverendissimum Dominum, Dominum” seguito dal nome di battesimo dell’eletto in accusativo; “Sanctae Romanae Ecclesiae Cardinalem” seguito dal cognome non tradotto in latino, “qui sibi nomen imposuit” seguito dall’appellativo pontificale scelto dall’eletto, con eventualmente il numero ordinale. Negli anni non c’è stata sempre un’unica soluzione linguistica per l’annuncio del nome. Nel caso di Pio XII, di Paolo VI e di Francesco, i nomi sono stati pronunciati ricorrendo all’accusativo latino (Pium, Paulum e Franciscum). Sono delle apposizioni e hanno lo stesso caso del nomen cui si riferiscono. Quando sono stati eletti Giovanni XXIII, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, invece, si è optato per il “genitivo epesegetico”, “dichiarativo” o “appositivo”, che è il caso che spiega o specifica con una determinazione particolare un concetto generico. Si sono utilizzate, infatti, per questi ultimi quattro Santi Padri, gli appellativi Ioannis, Ioannis Pauli e Benedicti. Nel XIX secolo Leone XIII e Pio IX furono annunciati con il nominativo (Leo e Pius), aventi valore di apposizioni del soggetto qui. Sono soluzioni diverse che indicano delle scelte precise fatte al momento, anche se si pensa che il ricorso all’accusativo sia da preferire per una questione stilistica. L’aggiunta del numero ordinale, qualora l’eletto non sia stato il primo a portare quel nome, non è avvenuta sempre allo stesso modo. Nel caso di Pio XII il protodiacono in carica non citò il numero ordinario, che fu invece pronunciato per l’elezione di Giovanni Paolo I ma, ancora una volta, omesso all’epoca di Giovanni Paolo II. La lingua latina si conferma un bene inestimabile, che ha forgiato e continua a forgiare l’anima delle Chiesa. Ciò che ci resta da fare è attendere l’elezione del nuovo pontefice e il nome con cui vorrà essere ricordato dalla storia.