Aids. In Italia 7 nuove diagnosi di Hiv al giorno

Ad oltre 40 anni dalle prime diagnosi, l’Hiv rimane una sfida aperta. Nel 2024 i casi in Italia sono stati 2.379, con incidenza stabile ma ancora rilevante. L’infettivologo del Gemelli avverte: “La vera emergenza è la diagnosi tardiva e lo stigma che circonda la malattia. Solo prevenzione, test e terapie tempestive possono spezzare la catena di trasmissione”

Nel 2024 in Italia si sono registrate 2.379 nuove diagnosi di Hiv, contro le 2.349 dell’anno precedente, con un’incidenza di 4 nuovi casi ogni 100mila residenti. Secondo l’ultimo bollettino del Centro operativo Aids dell’Istituto superiore di sanità, pubblicato a novembre, questo dato arresta la tendenza al rialzo osservata nel triennio post-Covid, che aveva interrotto la progressiva discesa iniziata nel 2012.  In occasione della Giornata mondiale contro l’Aids (1° dicembre), abbiamo fatto il punto con Carlo Torti, direttore Malattie infettive del Policlinico universitario Agostino Gemelli Irccs.

Foto Policlinico Gemelli/SIR

Professore, che significato ha oggi, ad oltre 40 anni dalle prime diagnosi di Hiv, la Giornata mondiale contro l’Aids? 
La Giornata ha una duplice valenza: commemorare chi è stato colpito quando la prognosi era ancora infausta, e ricordare che l’epidemia non è risolta. Gli obiettivi dell’agenda Onu in materia di salute – zero nuove infezioni e zero decessi per Aids entro il 2030 – sono difficili da raggiungere con i dati epidemiologici attuali. Parlarne resta quindi cruciale per mantenere alta l’attenzione pubblica e sanitaria.

Qual è l’andamento epidemiologico in Italia negli ultimi anni? 
Dopo una discesa continua dal 2012, si osserva un rialzo: nel 2024 le nuove diagnosi sono state 2.379, circa 7 al giorno. Nonostante terapie efficaci e la possibilità di azzerare la trasmissione sessuale con viremia non rilevabile (U=U), i numeri restano significativi. Occorre rafforzare prevenzione, testing e aderenza terapeutica.

Quali sono le principali modalità di trasmissione? 
L’87,6% delle nuove diagnosi avviene per via sessuale, mentre la trasmissione per via iniettiva tra persone che usano sostanze incide solo per il 3,8%.

La prevenzione deve quindi concentrarsi sui comportamenti sessuali, soprattutto tra i giovanissimi.

Lei ha accennato all’importanza della prevenzione. In che cosa consiste la Prep e per chi è indicata? 
La Prep (profilassi pre-esposizione) consiste nell’assunzione di antiretrovirali da parte di persone a rischio prima di un eventuale contatto con il virus, impedendo l’attecchimento e quindi la nuova infezione. È validata e offerta a chi presenta fattori di rischio.

Persiste il fenomeno delle diagnosi tardive. Quali conseguenze comporta? 
Circa il 60% delle persone cui è stato diagnosticato l’Hiv nel 2024 (circa 1.400) ha nel sangue un numero di cellule Cd4 inferiore a 350, segno di infezione pregressa non riconosciuta e di compromissione avanzata del sistema immunitario.

Il problema è la scarsa percezione del rischio, soprattutto tra eterosessuali, che porta a non fare il test, esponendo i pazienti a quadri clinici gravi e mantenendo la trasmissione del virus nel tempo.

Professore, che cosa significa U=U? 
Se iniziate tempestivamente e assunte con regolarità, le terapie antiretrovirali migliorano la condizione del sistema immunitario e riducono talmente la presenza del virus nel sangue da non renderne possibile la trasmissione ad altri. U=U significa “Undetectable equals Untransmittable”, ossia che una carica virale non rilevabile non è in grado di trasmettere il virus per via sessuale.

Quali barriere normative e culturali ostacolano il testing? 
In Italia il test Hiv richiede ancora il consenso scritto, creando un ostacolo. Sarebbe auspicabile gestirlo come altri esami, con counseling e informazione, senza eccessiva formalizzazione. Inoltre, lo stigma verso le persone con Hiv persiste: l’aggiornamento normativo e culturale non ha tenuto il passo con le conoscenze cliniche.

Che iniziative porta avanti il Centro del Gemelli? 
Offriamo la Prep alle persone indicate e puntiamo molto sull’aderenza terapeutica. Abbiamo ambulatori aperti per screening, per ridurre le barriere al test. Inoltre, stiamo introducendo terapie long-acting intramuscolo, che facilitano l’aderenza ma richiedono una gestione rigorosa: se il paziente salta la somministrazione perde la copertura. Il percorso Progress è strutturato proprio per integrare queste innovazioni.

Quali sono i numeri del Centro? 
Seguiamo circa 2.300 pazienti in follow-up; oltre il 95% ha viremia negativa; quindi, obiettivo terapeutico raggiunto nella quasi totalità. Più di 100 sono già in terapia long-acting, con miglioramenti anche sulla qualità di vita. Collaboriamo con altri centri e istituzioni per campagne e screening, e lavoriamo per aumentare la consapevolezza anche tra medici di altre specialità.

Quali popolazioni richiedono maggiore attenzione? 
I giovani, tra i quali si osserva un aumento di diagnosi per scarsa consapevolezza. Ma anche gli anziani che, pur vivendo più a lungo grazie alla terapia, presentano immunoattivazione persistente e invecchiamento biologico accelerato, con maggior rischio di neoplasie ed eventi cardiovascolari. Abbiamo avviato un percorso multidisciplinare con oncologi per gestire pazienti con Hiv e neoplasie.

In conclusione, che messaggio vorrebbe trasmettere all’opinione pubblica? 
L’Hiv non è una condanna. Si può e si deve prevenire e curare. La vera condanna oggi è l’ignoranza dell’infezione e lo stigma. Con diagnosi e terapia tempestive si interrompe la trasmissione del virus e si può avere una buona qualità di vita.

Agensir