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Quarant'anni fa l'assassino del Vescovo di El Salvador

Il sangue di Romero si mescolò con quello di Cristo

Nel giorno del suo martirio si celebra il ricordo di tutti i missionari martiri. Lo scorso anno ne sono stati uccisi 29

Il sangue di Romero si mescolò con quello di Cristo

Era il 24 marzo del 1980, e mentre stava celebrando la messa, al momento dell’elevazione del calice, monsignor Oscar Romero, oggi santo, è stato ucciso da un sicario; era nella cappella dell’Ospedale della Divina Provvidenza. Questo giorno è stato scelto dalla Chiesa per il ricordo dei missionari martiri canonizzati e non, vescovi, sacerdoti, religiosi e laici, ricordati nella preghiera, nel digiuno, nel sacrificio, tutti insieme, per la loro testimonianza di vita.

Oscar Romero nasce a Ciudad Barrios di El Salvador il 15 marzo 1917 da una famiglia modesta. Avviato all'età di 12 anni come apprendista presso un falegname, a 13 entrerà nel seminario minore di S. Miguel e poi, nel 1937, nel seminario maggiore di San Salvador retto dai Gesuiti. All'età di 20 anni fa il suo ingresso all'Università Gregoriana a Roma dove si licenzierà in teologia nel 1943, un anno dopo essere stato ordinato Sacerdote. Rientrato in patria si dedicherà con passione all'attività pastorale come parroco. Diviene presto direttore della rivista ecclesiale “Chaparrastique” e, subito dopo, direttore del seminario interdiocesano di San Salvador. In seguito avrà incarichi importanti come segretario della Conferenza Episcopale dell'America Centrale e di Panama. Il 24 maggio 1967 è nominato Vescovo di Tombee e solo tre anni dopo Vescovo ausiliare dell'arcidiocesi di San Salvador. Nel febbraio del '77 è Vescovo dell'arcidiocesi, proprio quando nel paese infierisce la repressione sociale e politica.
Sono, ormai, quotidiani gli omicidi di contadini poveri e oppositori del regime politico, i massacri compiuti da organizzazioni paramilitari di destra, protetti e sostenuti dal sistema politico. E' il periodo in cui il generale Carlos H. Romero è proclamato vincitore, grazie a brogli elettorali, delle elezioni presidenziali. La nomina del nuovo Vescovo non desta preoccupazione: mons. Romero, si sa, è “un uomo di studi”, non impegnato socialmente e politicamente; è un conservatore.
Il potere confida in una pastorale aliena da ogni compromesso sociale, una pastorale “spirituale” e quindi asettica, disincarnata. Mons. Romero inizia il suo lavoro con passione. Passa poco tempo che le notizie della sua inaspettata attività in favore della giustizia sociale giungono lontano e presto arrivano i primi riconoscimenti ufficiali dall'estero. Mons. Romero li accetta tutti in nome del popolo salvadoregno. Ma che cosa è accaduto nell'animo del vescovo conservatore?

Di particolare nulla. Solo una grande Fede di pastore che non può ignorare i fatti tragici e sanguinosi che interessano la gente. Disse, infatti, Romero: “Nella ricerca della salvezza dobbiamo evitare il dualismo che separa i poteri temporali dalla santificazione” e ancora: “Essendo nel mondo e perciò per il mondo (una cosa sola con la storia del mondo), la Chiesa svela il lato oscuro del mondo, il suo abisso di male, ciò che fa fallire gli esseri umani, li degrada, ciò che li disumanizza”. Forse un evento scatenante potrebbe essere stato l'assassinio del gesuita Rutilio Grande da parte dei sicari del regime; Romero apre un'inchiesta sul delitto e ordina la chiusura di scuole e collegi per tre giorni consecutivi. Nei suoi discorsi mette sotto accusa il potere politico e giuridico di El Salvador. Istituisce una commissione permanente in difesa dei diritti umani; le sue omelie, ascoltate da moltissimi parrocchiani e trasmesse dalla radio della diocesi, vengono pubblicate sul giornale “Orientaciòn”. Una certa chiesa si impaurisce allontanandosi da Romero e dipingendolo come un” incitatore della lotta di classe e del socialismo”. In realtà Romero non invitò mai nessuno alla lotta armata, ma, piuttosto, alla riflessione, alla presa di coscienza dei propri diritti e all'azione mediata, mai gonfia d'odio.

Di fronte all’oppressione e allo sfruttamento del popolo, osservando gli squadroni della morte che uccidono contadini, poveri e preti impegnati (incluso il padre gesuita Rutilio Grande, suo amico), il vescovo capisce di non poter fare a meno di prendere una posizione chiara. Paga con un progressivo isolamento e con forti contrasti, sia in nunziatura che in Vaticano, la sua scelta preferenziale per i poveri: alcuni vescovi lo accusano di incitare «alla lotta di classe e alla rivoluzione», mentre è malfamato e deriso dalla destra come sovversivo e comunista.

«Non ho la vocazione di martire», confida, anche se predica che «uno non deve mai amarsi al punto da evitare ogni possibile rischio di morte che la storia gli pone davanti. Chi cerca in tutti i modi di evitare un simile pericolo, ha già perso la propria vita».

Purtroppo, il regime sfidato aveva alzato il tiro; dal 1977 al 1980 si alternano i regimi ma non cessano i massacri.

Il 23 marzo 1980, nella sua ultima omelia in cattedrale aveva gridato: “Nel nome di Dio e del popolo che soffre vi supplico, vi prego, e in nome di Dio vi ordino, cessi repressione!”. Il giorno dopo, il 24 marzo 1980, nel tardo pomeriggio, un sicario si intrufola nella cappella dell’ospedale, dove Romero sta celebrando, e gli spara dritto al cuore, mentre il vescovo alza il calice al momento dell’offertorio. Le sue ultime parole sono ancora per la giustizia: “In questo Calice il vino diventa sangue che è stato il prezzo della salvezza. Possa questo sacrificio di Cristo darci il coraggio di offrire il nostro corpo ed il nostro sangue per la giustizia e la pace del nostro popolo. Questo momento di preghiera ci trovi saldamente uniti nella fede e nella speranza”. Da quel giorno la gente lo chiama, lo prega, lo invoca come San Romero d'America. Sì, la profezia di Romero, il vescovo fatto popolo si è realizzata: “Se mi uccideranno – aveva detto – risorgerò nel popolo salvadoregno”.

Il cammino per verificare il suo effettivo martirio in odio alla fede è cominciato il 13 settembre 1993 col nulla osta da parte della Santa Sede. Ha visto quindi l’apertura della fase diocesana a San Salvador il 24 marzo 1994, conclusa il 1° novembre 1996 e convalidata il 4 luglio 1997. Il 3 febbraio 2015 papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto che ufficializzava il suo martirio. Il 23 maggio 2015, nella Piazza Salvatore del Mondo di San Salvador, monsignor Romero è stato dichiarato beato. La canonizzazione è avvenuta il 14 ottobre 2018 e il vescovo martire di El Salvador è diventato ufficialmente “San Romero delle Americhe”, come già da tempo veniva invocato.

La sua memoria liturgica è stata fissata al 24 marzo, giorno della sua nascita al Cielo, che dal 1992 è la data in cui ricorre la Giornata di preghiera e digiuno per i missionari martiri.

Secondo i dati raccolti da Fides, nel corso dell’anno 2019 sono stati uccisi nel mondo 29 missionari, per la maggior parte sacerdoti: 18 sacerdoti, 1 diacono permanente, 2 religiosi non sacerdoti, 2 suore, 6 laici. Dopo otto anni consecutivi in cui il numero più elevato di missionari uccisi era stato registrato in America, dal 2018 è l’Africa ad essere al primo posto di questa tragica classifica. In Africa nel 2019 sono stati uccisi 12 sacerdoti, 1 religioso, 1 religiosa, 1 laica (15). In America sono stati uccisi 6 sacerdoti, 1 diacono permanente, 1 religioso, 4 laici (12). In Asia è stata uccisa 1 laica. In Europa è stata uccisa 1 suora. Un’altra nota è data dal fatto che si registra una sorta di “globalizzazione della violenza”: mentre in passato i missionari uccisi erano per buona parte concentrati in una nazione, o in una zona geografica, nel 2019 il fenomeno appare più generalizzato e diffuso. Sono stati bagnati dal sangue dei missionari 10 paesi dell’Africa, 8 dell’America, 1 dell’Asia e 1 dell’Europa.

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