La storia della Calabria inscritta nei minerali presenti in natura

Alla scoperta delle pietre del nostro territorio

“La storia dell’uomo e le attività intraprese da quest’ultimo sono da sempre state influenzate anche dai materiali lapidei, dalle pietre che aveva a disposizione. Fin dall’antichità, già nel Neolitico, avere scoperto materiali come l’ossidiana o la selce ha determinato la formazione di insediamenti stabili e la possibilità di dedicarsi al commercio, perché queste pietre potevano essere utilizzate come merce di scambio, inoltre, ad esempio facendo riferimento all’antichità classica, l’utilizzo di marmi e di altri materiali più pregiati ha consentito di creare capolavori artistici dal valore inestimabile”, sono le parole di Gianpaolo Barone, medico internista cosentino che ha prestato servizio presso l’Ospedale di Cosenza, coautore del volume ‘Minerali della Calabria’, con una profonda passione per la natura e per la mineralogia. Insieme al dottor Barone abbiamo esplorato il nostro territorio alla scoperta delle pietre più rappresentative e più diffuse del cosentino che ci ha descritto e le cui foto sono di Agostino Scalercio.

La cosiddetta pietra di Mendicino è una arenaria molto diffusa e molto utilizzata per la costruzione e la decorazione di edifici, chiese e palazzi. La sua formazione, che risale al Miocene, circa 10 milioni di anni fa, è avvenuta in ambiente marino, come testimoniato dai molti resti fossili in essa contenuti. Ne esistono di diverse tonalità di colore da quella bianca, più ricca di una componente calcarea a quella rosa, la più conosciuta e più apprezzata, che contiene una componente silicea e di ossido di ferro che le conferisce colore.

La particolare composizione della pietra la rende molto sensibile all’azione degli agenti atmosferici, in particolare della pioggia che la imbibisce e la deteriora in profondità, ma con le nuove tecnologie è possibile infiltrarla e trattarla, rendendola maggiormente impermeabile e conferendole maggiore resistenza. 

È una particolarità della nostra catena costiera, presente sia sul versante est che ovest,  ovvero sia sul versante che affaccia sul mare che su quello interno, se ne trova molta tra Dipignano e Carolei e tra Mendicino e Cerisano, dove probabilmente anticamente veniva estratta. Attualmente non ci sono cave attive in queste zone, mentre esiste una grande cava presente sul versante tirrenico nella parte alta del comune di San Lucido, dove si estrae la cosiddetta pietra di San Lucido che ha le stesse caratteristiche di quella di Mendicino, entrambe formatesi nello stesso orizzonte geologico. 

“Avere a disposizione questo tipo di materiale ha influito molto sull’assetto architettonico della nostra città, è molto diffusa in particolare nel centro storico, dove è stata utilizzata per la costruzione e la decorazione della Cattedrale, di numerose altre chiese, di palazzi nobiliari ed anche del Castello Normanno Svevo. Inoltre molti paesi costieri del cosentino sono stati arricchiti con portali ed opere fatti con questo tipo di pietra, a testimonianza di una lunga tradizione di scalpellini che la lavoravano abilmente”, quanto sottolineato da Barone.

Il granito della Sila, presente nell’Altopiano, in particolare tra Lorica e San Giovanni in Fiore,  si presenta soprattutto sotto forma di massi molto grandi formatisi a causa dell’erosione che ha sfogliato completamente il granito tutto intorno, lasciando i nuclei più resistenti. Si tratta di trovanti molto grandi di granito bianco con una picchiettatura nera, data dalla micabiotite, un particolare minerale. Non vi è mai stata una vera e propria cava di granito nel territorio silano, siamo in presenza di un materiale molto duro e difficile da trattare, utilizzato nelle costruzioni e per elementi architettonici. Vi è una particolarità che riguarda il capoluogo bruzio, infatti ritroviamo il granito della Sila nei gradini e nel basamento della statua bronzea dedicata a Bernardino Telesio, presente in piazza XV Marzo.

L’ origine del granito presente in Sila, ma anche in Aspromonte e nelle Serre del vibonese risale a circa 350 milioni di anni fa, periodo in cui la Terra aveva un assetto completamente diverso da quello attuale, i vecchi supercontinenti presenti allora si stavano avvicinando tra loro, per cui dal Portogallo fino all’Asia questo moto di avvicinamento ha determinato un corrugamento della crosta terrestre che ha portato alla formazione delle catene montuose tra cui i Pirenei,  le Alpi e tutte quelle che attraversano l’Europa e l’Asia. Alla fine di questa orogenesi ercinica, o varisica, dei graniti  hanno fatto intrusione in mezzo alle rocce. Secondo un modello teorico, oggetto di studio e di numerose ricerche, proprio per la sua composizione geologica, la Calabria faceva parte di un grande blocco, comprendente anche la Corsica e la Sardegna, che si collocava ad occidente delle Alpi, che si è staccato, iniziando a migrare verso sud e dal quale la nostra regione si è distaccata andando a collocarsi nell’attuale posizione. 

“L’Appennino meridionale, caratterizzato da rocce calcaree, infatti, si interrompe in corrispondenza di quella che viene chiamata la ‘linea di Sangineto’, con le montagne delle della Catena Costiera, in corrispondenza della quale questo blocco cristallino originario è scivolato e si è sovrapposto all’Appennino, che riprende a sud dei Monti Peloritani, che invece hanno la stessa origine della Calabria”, così il dottore Barone che ha chiosato: “Siamo abituati a ragionare con il nostro metro cronologico, ma in realtà non ci rendiamo conto che ciò che vediamo è un piccolo attimo del nostro pianeta, della nostra Terra, che così come ha fatto per milioni di anni è destinata a mutare ulteriormente”.