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Giorgio Cavazzano, una vita felice tra paperi e topi

Un viaggio nel mondo Disney insieme a uno dei maestri del fumetto. Cavazzano: "Sono diventato disegnatore grazie alla alla vocazione di un collega che è entrato in seminario".

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Giorgio Cavazzano, una vita felice tra paperi e topi

Da Topolino a Paperino, passando per Zio Paperone, Nonna papera e Pippo, da oltre sessant’anni Giorgio Cavazzano, il più grande disegnatore Disney, è autore di alcune delle tavole più amate dai lettori, grandi e piccoli. In occasione dei nostri 95 anni di storia del settimanale diocesano ci siamo regalati un fantastico viaggio nel mondo Disney attraverso il racconto e la matita di uno dei più grandi disegnatori italiani apprezzato in tutto il mondo: Giorgio Cavazzano. Il suo approdo nel mondo del fumetto è iniziato molto presto, all’età di 12 anni, a bordo di un vaporetto nei canali della bellissima Venezia, sua terra d’origine. Lo abbiamo intervistato per farci raccontare alcuni passaggi salienti della sua carriera e per scoprire qualche aneddoto particolare dei personaggi che disegna da una vita.

Maestro Cavazzano, cosa ricorda dei suoi primi inizi?

Ho dei ricordi meravigliosi perché la mia vita è estremamente fortunata. Ero adolescente, cercavo un disegnatore veneziano e provvidenzialmente in un vaporetto ho avuto modo di conoscere la fidanzata di questo disegnatore, Romano Scarpa. Da lì è iniziata la mia vita creativa. Il maestro Scarpa mi ha insegnato tutto e mi ha dato anche la possibilità di entrare nel mondo Disney.

Lei si è cimentato in questo mondo “fiabesco” come inchiostratore grazie, a sua insaputa, della rinuncia di un sacerdote?

Se sono diventato fumettista è perché il vecchio parroco di Jesolo, don Paolo Donadelli, morto nel 2012, una settimana prima del mio arrivo ha avuto la vocazione. Dopo tanti anni per il mio sessantesimo compleanno ricevetti una telefonata da don Paolo che mi disse: “Cavazzano, dovrò subire un’operazione molto difficile, prima però vorrei dirle che se sei lì è perché ho ricevuto la vocazione una settimana prima che arrivassi tu e me ne sono andato. Ero io il collaboratore di Scarpa”. Ancora non ci credo, più ci penso e più è incredibile. Dopo l’operazione con mia moglie siamo andati a trovarlo, da lì si è creata un’amicizia straordinaria. Mi regalò un piccolo crocifisso ligneo dicendomi di tenerlo sempre con me perché mi aiuterà nei momenti difficili, e ce l’ho qui, nel mio studio. Tra l’altro prima di morire lasciò a suo fratello tutti i miei lavori raccolti nel corso degli anni per donarmeli.

È difficile dire quanto straordinario fosse questo parroco. Paperino è stato il primo personaggio del suo debutto?

Sì, sia come inchiostratore che come disegnatore. Dalla prima sceneggiatura di “Paperino e il singhiozzo a martello” con Paperino e Paperoga, questi due personaggi mi hanno accompagnato in tante avventure. Paperino lo sto disegnando anche adesso, mentre mi sta intervistando, in un’avventura in India. È un personaggio che mi appartiene, anche se mia moglie dice che cammino come Pippo e il mio studio potrebbe somigliare a quello di Paperoga, cioè è molto caotico.

Perché questi personaggi non tramontano mai e continuano a far sognare tante generazioni?

C’è qualcosa di speciale. Molti personaggi nascono e poi se ne vanno così senza avere un grande pubblico. Ma in questi personaggi c’è il nome Disney che è molto importante e poi a livello mondiale riescono ad avere un appeal, un contributo da parte di noi autori, disegnatori e sceneggiatori. Riusciamo a farli vivere nella nostra realtà che cambia in continuazione così come cambiano le storie, gli oggetti, e così via. Nonostante tutto mantengono quella bellezza iniziale che avevano quando sono stati creati. A livello planetario è meraviglioso. Il compito che abbiamo noi autori è di rendere questi personaggi simpatici e le storie devono funzionare sia in Finlandia sia in Egitto, devono avere un linguaggio universale.

La storia che ama di più è la parodia “Casablanca” che ha segnato una fase importante della sua carriera. Perché?

È vero, lo devo a Vincenzo Mollica che mi ha dato lo spunto per realizzare questa storia. Ad un certo punto è uscito il Topolino che volevo io, quello che avevo in mente e che non mi riusciva con la matita. Ho cominciato a studiarlo per capire come potevo modificare certe espressioni, certe situazioni e alcune dinamiche della storia. Topolino mi ha aiutato anche a capire i personaggi dei paperi. Ho provato a disegnare e cancellare finché non usciva quello che volevo io, è stata una crescita incredibile. Tutto è partito da quella vignetta su Casablanca.

Maestro Cavazzano, c’è un segreto per fare questo mestiere, oltre ad avere un grande talento?

Serve molta curiosità, e poi è anche necessario saper apprendere da chi ci ha preceduto. Io ho imparato molto da grandi maestri.

Quanto tempo occorre per realizzare una pagina di fumetto? Al giorno riesco a realizzare una pagina e mezza a matita. Come ha vissuto il salto dalle tavole al mondo digitale?

L’ho vissuto abbastanza distante perché quando collaboravo con Romano Scarpa mi obbligò ad usare il colore e quindi mi sono dedicato alla tempera, all’acquerello, successivamente all’acrilico e i quadri ad olio. Il colore preferisco darlo senza utilizzare alcun programma digitale. Ci sono alcuni collaboratori in Disney che disegnano ed inchiostrano con i tablet, è una cosa che preferisco lasciarla fuori dalla porta. Amo il cartaceo, i colori, gli errori e le correzioni, capire perché ho sbagliato.

Lei ha segnato un pezzo di storia di Topolino, ha vissuto tutte le sue trasformazioni. Ha nostalgia del passato?

No, per niente. Nel passato del mio lavoro con certe cose ci farei un bel falò, ci sono cose estremamente cariche di errori, interpretazioni fatte forse dalla fretta o perché non ero capace, che mi piacciono meno. Non ho nostalgia del passato, preferisco le cose che dovrò fare domani. Quello che faccio oggi già domani appartiene al passato.

Questo tempo di pandemia è stata occasione di maggiore creatività? Ha influito sulla vita del fumetto?

Non lo so. Vedremo. Il futuro del fumetto è abbastanza difficile. Per quanto mi riguarda vedo fuori dalla finestra una natura bellissima ma al contempo avverto un senso di cautela, di pericolo. È una situazione orwelliana. Allora mi immergo nella sceneggiatura, nel disegno, e mi aiutano molto.

Da disegnatore ci può descrivere i tratti più belli di Topolino e Paperino?

Ad un certo punto della mia vita, circa 15 anni fa, casualmente ho trovato una rivista Disney finlandese, ed ho capito che lì c’era qualcosa di diverso dalla nostra maniera interpretativa. Ho chiesto alla mia direttrice se mi metteva in contatto con l’editore di Sanoma. Mi interessava capire una maniera diversa di impostare una pagina, pur mantenendo fedele la caratteristica dei paperi. Nel nord Europa Topolino ha un successo molto limitato, mentre Paperino grazie anche a Carl Barks e Don Rosa è seguitissimo. Così ho cominciato a collaborare con questa casa editrice finlandese e poi con la casa madre europea della Disney, Egmont, che ha sede a Copenaghen. E continuo tuttora a collaborare con loro, realizzo delle copertine anche per la Francia. Tutto questo però mi fa capire che questi personaggi si rinnovano continuamente. Il rapporto con Topolino è molto carico di emozioni perché è un personaggio difficile, ha una mimica facciale molto limitata, non può essere né troppo alto, né troppo basso. Ha degli amici che sono alti, ha un cane come amico, ha una meravigliosa fidanzata che è Minnie; il papero invece mi lascia libero di interpretarlo, stiracchiarlo, di trovare espressioni anche nuove.

Questa separazione tra i due stili sono notevoli ma molto interessanti per me. Ha ancora un sogno da realizzare nonostante i suoi oltre sessant’anni di carriera?

Il mio sogno sarebbe quello di dipingere quadri. Ho questa opportunità dalla Disney americana di poter dipingere quadri con soggetto disneyano, mi piacerebbe dedicare più tempo a questa nuova espressione.

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