Cultura
Scoperta un’iscrizione con il Padre Nostro in runico

L’iscrizione potrebbe confermare lo svolgimento di una pratica di culto esportata in Nord America
In Canada, nelle foreste dell’Ontario settentrionale, è stata rinvenuta, su una lastra di roccia, la più grande iscrizione runica contenente l’intero testo del Padre Nostro. Il runico era un sistema segnico usato dalle antiche popolazioni germaniche (Norreni, Angli, Juti, Goti, Sassoni e Frisoni). Era un tipo di scrittura, ora in disuso, che ha lasciato non poche tracce nella lingua latina riadattata dagli scandinavi, specie nel danese e nel norvegese. La tesi più accreditata è che l’alfabeto runico rappresenti un’evoluzione dell’etrusco, esportato, in epoca vichinga, in tutta Europa tramite il latino, anche in Germania orientale e in Scandinavia dove i Romani non riuscirono a far sentire la loro influenza. La prima testimonianza del runico antico o “Futhark” risale al 150 a.C. (epoca romana) mentre l’ultima è del 700 d.C. Il periodo compreso tra queste due date corrisponde alla prima fase di cristianizzazione degli scandinavi e dei popoli nordici in generale. Inizialmente esistevano 24 segni, che rappresentavano le vocali e le consonanti delle lingue germaniche settentrionali, com’è testimoniato da iscrizioni di carattere magico o augurale riportate su varie tavolette o su pietre. Nel periodo vichingo le lettere divennero 16, incise su epigrafi presenti su steli e pietre tombali. Il loro uso è attestato sino alla fine dell’Ottocento in un paese della campagna svedese. I segni runici rimandano a qualcosa di “segreto”, “misterioso”, “ermetico”; sono ambivalenti e metatestuali avendo, ciascuno, una rispondenza fonetica ed una ideografia, ossia potendo esprimere ogni segno tanto un suono quanto un’idea. La recente scoperta in Canada è stata fatta in seguito alla caduta, circa sette anni fa, di un albero a causa di una tempesta a circa 10 km da Wawa. L’incidente svelò una porzione di roccia, su cui era riportata un’incisione lunga con 255 caratteri runici, e sulla quale era visibile una nave nordica con 16 figure umane a bordo e 14 misteriosi simboli a forma di “X”. La scritta si estendeva su una superficie rettangolare di 1,2 x 1,5 metri. Furono scattate delle foto inviate all’Ontario Centre for Archaeological Research and Education (Ocare), dove Ryan Primrose (presidente) e David Gadzala (vicepresidente) si occuparono di uno studio che durò diversi anni, condotto nella più completa segretezza. L’approfondimento della ricerca fu possibile interpellando il professor Henrik Williams, uno dei più importanti runologi al mondo, docente all’Università di Uppsala in Svezia, il quale si recò in Canada e studiò l’iscrizione, nonostante il clima rigido. La sua indagine svelò che non si trattava di un’opera vichinga o di un falso ma di un’iscrizione vera, risalente alla prima metà del XIX secolo. L’epigrafe rinvenuta si riferisce alla versione in svedese antico del Padre Nostro, e presenta una struttura sintattica e grammaticale tipica dei testi liturgici diffusi in Svezia dopo la riforma protestante. Ci sarebbe anche una motivazione storica che giustificherebbe la presenza in America del Nord di tale reperto. La Compagnia della Baia di Hudson, specializzata nell’esportazione di pellicce a partire dal XVII secolo, impiegava lavoratori che venivano dal Nord Europa tra cui gli svedesi. Il forte di Michipicoten, vicino al sito della scoperta, era luogo di scambio e di insediamento degli scandinavi. Primrose ha suggerito due tesi: o l’iscrizione fu realizzata da un missionario svedese in preda al suo fervore religioso, oppure è segno di un luogo isolato in cui un gruppo di scandinavi si riuniva in segreto, per celebrare le sue cerimonie religiose o un culto portato nel Nuovo Mondo da una comunità svedese cristianizzata. Ciò spiegherebbe il perché fosse seppellita sotto vari centimetri di terra. È un reperto che attesta che la fede cristiana viaggia insieme ai migranti.