Cultura
Restauro della Sala di Costantino
Raffaello e la sua bottega furono incaricati da Leone X di decorare il prezioso ambiente
Un lavoro di restauro decennale ha fatto rinascere la Sala di Costantino, la più grande delle quattro Sale di Raffaello dentro i Musei Vaticani, un vero e proprio capolavoro della pittura rinascimentale. È chiamata così in onore all’imperatore Costantino, che concesse la libertà di culto ai cristiani. Leone X commissionò la decorazione della stanza a Raffaello Sanzio e alla sua bottega nel 1517. Nel 1520, tuttavia, il pittore urbinate morì e l’opera venne completata da Giulio Romano e da Giovanni Francesco Penni, suoi allievi, e da altri artisti tra cui Sebastiano del Piombo e Tommaso Laureti nel 1524. Sulle pareti della camera campeggiano dipinti realizzati, lungo tutto il Cinquecento, da più maestri e sotto più pontificati, da quello di Leone X a quello di Sisto V. Il restauro, iniziato nel 2015, è stato coordinato dal Reparto per l’Arte dei secoli XV-XVI, ed è stato eseguito dal Laboratorio di Restauro Dipinti e Materiali Lignei dei Musei Vaticani, guidato da Francesca Persegati, in collaborazione con il Gabinetto di Ricerche Scientifiche e con il sostegno finanziario del Capitolo di New York dei Patrons of the Arts dei Musei papali. I ricercatori sono riusciti a sollevare la patina del tempo, ripristinando i meravigliosi colori originali dell’abitacolo e permettendo di visualizzare meglio significati, luci, ombre e profondità. La Sala di Costantino, oggi luminosa e meravigliosa, induce una riflessione profonda sul rapporto tra l’uomo e Dio e contribuisce a diffondere la fede cristiana. Tra le creazioni di Sanzio è in assoluto la più programmatica, la più pubblica e quella a maggior indirizzo politico. “Celebriamo non solo un traguardo di conservazione, ma anche una nuova possibilità di lettura critica e visiva di uno dei luoghi simbolo della pittura rinascimentale. La Sala di Costantino torna a essere un atlante figurativo di rara potenza narrativa e simbolica” – ha affermato la Direttrice dei Musei Vaticani, Barbara Jatta, in occasione della riapertura al pubblico della stanza il 26 giugno. Tecnologie all’avanguardia come la riflettografia a 1900 nanometri, l’infrarosso in falsi colori, la fluorescenza UV e le analisi chimiche, messe a disposizione dal Gabinetto di Ricerche Scientifiche, diretto da Fabio Morresi, hanno permesso di indagare gli strati del tempo e di ripristinare l’originale superficie pittorica, mettendo in rilievo differenze importanti che hanno fatto comprendere come si lavorava nel Rinascimento. Del ciclo pittorico è stato anche realizzato un modello tridimensionale basato su scansioni laser. La Sala di Costantino è uno dei tanti capolavori che meglio esprimono il linguaggio figurativo che Raffaello elaborò, assimilando creativamente i modelli di maestri maturi e affermati, come Leonardo e Michelangelo, e gli influssi provenienti dalla tradizione fiorentina e da quella umbra (Perugino e Pinturicchio). Il genio di Urbino aveva affrescato diverse stanze per Giulio della Rovere e per Leone X Medici dal 1508 al 1520, ma per il suo ultimo intervento sulla Sala di Costantino sperimentò una decorazione diversa dal tradizionale affresco. Scelse la tecnica della pittura ad olio su muro, conosciuta sin dagli albori del Quattrocento anche in Toscana, basata sull’uso della “pece greca”, una resina vegetale stesa sulla parete, rinforzata mediante l’affissione di chiodi. Avendo tempi di esecuzione molto lunghi e lenti rispetto all’affresco, la tecnica ad olio permise a Raffaello di intervenire sulle sue creazioni, apportando eventuali modifiche e ritocchi e dando al prodotto finale un’idea di uniformità. Esempi di tutto ciò sono la “Comitas” (Mansuetudine) e la “Iustitia” (Giustizia), le due figure femminili allegoriche che si trovano, rispettivamente, sulla parete est a destra dell’affresco che ritrae la “Visione della Croce” (la visione premonitrice che Costantino ebbe prima della lotta contro Massenzio sullo sfondo di una Roma antica), e sulla parete sud a destra della “Battaglia di Ponte Milvio” (l’opera che simboleggia la vittoria del cristianesimo sul paganesimo con la sconfitta di Massenzio per mano dello stesso imperatore romano, iniziata da Sanzio e terminata, tra il 1520 e il 1524 da Giulio Romano). Intervenendo sulla “Comitas” e sulla “Iustitia”, gli esperti hanno avuto prova della tendenza di Raffaello a perfezionarsi sempre, correggendo gli errori commessi. Entrambe furono predisposte su una resina naturale (colofonia), applicata a caldo sul muro puntellato da chiodi. La “Comitas”, dipinta per prima, è stata realizzata con la tecnica dell’olio puro che, combinato con la pece, ha dato luogo a varie imprecisioni. Consapevole di ciò il Divin pittore non commise lo stesso errore con la “Iustizia”, che produsse mescolando olio e tempera grassa, ottenendo così una mistura che aveva più presa sulla resina e che restituì una figura molto precisa. La grande scoperta sta nell’aver compreso – come dice Fabio Piacentini, responsabile del cantiere – che Raffaello aveva intenzione di puntellare tutta la stanza con i chiodi per dipingerla ad olio. Romano e Penni, tuttavia, proseguirono le decorazioni, subito dopo la morte del maestro avvenuta nel 1520, ritornando alla tecnica dell’affresco. Un altro sopralluogo ha riguardato la volta del soffitto a cassettoni di legno, decorata su richiesta di Sisto V da Tommaso Laureti, allievo di Sebastiano del Piombo, il quale ricorse ad un gioco di inganno visivo piazzando un finto arazzo, che si prestava ad un’illusione prospettica basata sull’alternanza di luce e ombra, ora visibili dopo la pulitura della superficie pittorica. Sono stati studiati, inoltre, gli intonaci sovrapposti e analizzati i precedenti restauri per distinguere tra parti originali e azioni successive. Il ripristino delle iconografie della Sala di Costantino rende chiare le evoluzioni storiche che hanno caratterizzato la Chiesa romana nel XVI secolo. Saranno previste delle manutenzioni ordinarie al fine di impedire danni a lungo termine, assicurando la trasmissione di questo tesoro artistico alle future generazioni.
