Leone XIV: “Libano sia profezia di pace per tutto il Levante”

Il Papa ha concluso il suo viaggio in Libano con un invito  a “disarmare i cuori”. “Ascoltate il grido del popolo che chiede la pace”, l’appello alla comunità internazionale dopo la messa a Beirut. Il primo appuntamento della mattinata la visita all’ospedale “De La Croix”, poi la preghiera silenziosa al porto, nel luogo dell’esplosione di cinque anni fa. “Le armi uccidono, scegliere tutti la pace come via”, le parole nella cerimonia di congedo

Un silenzio eloquente, che parla più di tante parole. E’ quello che ha caratterizzato la preghiera silenziosa del Papa nel luogo della doppia esplosione al Porto di Beirut, la più grande esplosione non nucleare della storia, che ha provocato 220 morti. Un trauma per il popolo libanese, che a cinque anni da quel 4 agosto 2020 ancora non conosce la verità sul tragico evento e chiede giustizia. E’ il momento culminante del viaggio di Leone XIV in Libano, definito dal Papa a più riprese un laboratorio di convivenza foriero di pace in tutto il Medio Oriente, stanco e piagato da guerre e violenze ma dotato di una resilienza indomita che rende il Libano “più che un Paese un messaggio”, per la sua capacità di far convivere armoniosamente 18 confessioni religiose diverse, come aveva detto Giovanni Paolo II in questo stesso luogo, nel 1997.

“Libano, rialzati! Sii casa di giustizia e di fraternità! Sii profezia di pace per tutto il Levante!”,

l’appello finale nella messa al Waterfront di Beirut, in una spianata gremita di persone accorse da tutto il Paese per poter salutare il successore di Pietro nel suo primo viaggio apostolico, che ha visto la prima tappa in Turchia, per i 1700 anni dal Concilio di Nicea.

“Ascoltate il grido del popolo che chiede la pace”,

la richiesta alla comunità internazionale al termine della messa, insieme a quelle a rifiutare l’orrore della guerra e la logica della vendetta.

“Le armi uccidono, scegliamo tutti la pace come via”,

l’appello nella cerimonia di congedoPrendersi cura dei più fragili. L’ultima giornata in Libano è cominciata con la visita all’ospedale “De la Croix” a Jal el Dib, uno dei più grandi ospedali per disabili mentali del Medio Oriente, dove il Papa ha salutato il personale e gli ammalati e ha visitato uno dei padiglioni, intrattenendosi in modo particolare con i bambini, al riparo dalle telecamere. “Siete nel mio cuore e nelle mie preghiere”, ha assicurato Leone XIV:  “Quanto si vive in questo luogo è un monito per tutti, per la vostra terra ma anche per l’intera umanità:

“non possiamo dimenticarci dei più fragili, non possiamo immaginare una società che corre a tutta velocità aggrappandosi ai falsi miti del benessere, ignorando tante situazioni di povertà e di fragilità”,

l’appello che dal Libano si irradia al mondo.

La preghiera silenziosa. Da solo, a piedi, in raccoglimento. E’ la postura con cui Leone XIV ha raggiunto il luogo dello scoppio del 4 agosto del 2020, di cui l’area circostante porta ancora i segni, come ha potuto constatare lo stesso Pontefice. Accolto dal Primo ministro, si è fermato per un momento di preghiera silenziosa davanti al monumento che commemora le vittime dell’esplosione, ai piedi del quale ha deposto una corona di fiori e acceso una candela. Al termine il saluto ad alcuni parenti delle vittime e sopravvissuti all’esplosione.

Disarmare i cuori. “ A volte, appesantiti dalle fatiche della vita, preoccupati per i numerosi problemi che ci circondano, paralizzati dall’impotenza dinanzi al male e oppressi da tante situazioni difficili, siamo più portati alla rassegnazione e al lamento, che allo stupore del cuore e al ringraziamento”. E’ cominciata con questa immagine l’omelia della messa al Beirut Waterfront, al centro della quale c’è stato l’invito rivolto al popolo libanese a “coltivare sempre atteggiamenti di lode e di gratitudine”.

“Siete destinatari di una bellezza rara con la quale il Signore ha impreziosito la vostra terra e che, al contempo, siete spettatori e vittime di come il male, in molteplici forme, possa offuscare questa magnificenza”,

il ritratto in chiaroscuro di Leone XIV. Nel Paese dei cedri, infatti, “la bellezza è oscurata da povertà e sofferenze, da ferite che hanno segnato la vostra storia, da tanti problemi che vi affliggono, da un contesto politico fragile e spesso instabile, dalla drammatica crisi economica che vi opprime, dalla violenza e dai conflitti che hanno risvegliato antiche paure”. “In uno scenario di bellezza, oscurato però da povertà, sofferenze e ferite”, accade dunque che “la gratitudine cede facilmente il posto al disincanto, il canto della lode non trova spazio nella desolazione del cuore, la sorgente della speranza viene disseccata dall’incertezza e dal disorientamento”. Spetta a noi, allora,

“trovare le piccole luci splendenti nel cuore della notte,

sia per aprirci alla gratitudine che per spronarci all’impegno comune a favore di questa terra”, l’appello. “Avere occhi per riconoscere la piccolezza del germoglio che spunta e cresce pur dentro avvenimenti dolorosi”, l’invito del Papa, che anche in Libano, come in Turchia, ha elogiato la forza della piccolezza, capace di irradiare speranza.

“Piccole luci che risplendono nella notte, piccoli virgulti che spuntano, piccoli semi piantati nell’arido giardino di questo tempo storico possiamo vederli anche noi, anche qui, anche oggi”,

ha assicurato il Pontefice: “Penso alla vostra fede semplice e genuina, radicata nelle vostre famiglie e alimentata dalle scuole cristiane; penso al lavoro costante delle parrocchie, delle congregazioni e dei movimenti per andare incontro alle domande e alle necessità della gente; penso ai tanti sacerdoti e religiosi che si spendono nella loro missione in mezzo a molteplici difficoltà; penso ai laici come voi impegnati nel campo della carità e nella promozione del Vangelo nella società”. “Tutti noi siamo chiamati a coltivare questi virgulti, a

non scoraggiarci, a non cedere alla logica della violenza e all’idolatria del denaro, a non rassegnarci dinanzi al male che dilaga”,

l’esortazione finale: “Disarmiamo i nostri cuori, facciamo cadere le corazze delle nostre chiusure etniche e politiche, apriamo le nostre confessioni religiose all’incontro reciproco, risvegliamo nel nostro intimo

il sogno di un Libano unito, dove trionfino la pace e la giustizia, dove tutti possano riconoscersi fratelli e sorelle”.