Leone XIV, “domani mi recherò in Turchia e in Libano”

L’udienza generale alla vigilia del primo viaggio apostolico all’estero del Santo Padre

“Domani mi recherò in Türkiye e poi in Libano per compiere una visita alle care popolazioni di quei Paesi ricchi di storia e di spiritualità”. Lo ha annunciato Leone XIV ai fedeli riuniti in piazza San Pietro per il tradizionale appuntamento del mercoledì. “Sarà anche l’occasione per ricordare i 1700 anni del primo Concilio ecumenico celebrato a Nicea e incontrare la comunità cattolica, i fratelli cristiani e di altre religioni”, ha spiegato al termine dell’udienza di oggi, durante i saluti ai fedeli di lingua italiana: “Vi chiedo di accompagnarmi con la preghiera”, l’auspicio per il suo primo viaggio apostolico.

“Molte vite, in ogni parte del mondo, appaiono faticose, dolorose, colme di problemi e di ostacoli da superare”,

l’esordio della catechesi, dedicata al rapporto tra la Risurrezione di Cristo e le sfide del mondo attuale e imperniata attorno ad un verbo – “generare” – come antidoto ad una “malattia diffusa”, quella della mancanza di fiducia nella vita, e alla violenza insita nell’animo umano, che può arrivare fino al fratricidio de alle guerre.

“La vita ha una sua specificità straordinaria”, ha osservato Leone XIV : “ci viene offerta, non possiamo darcela da soli, ma va alimentata costantemente: occorre una cura che la mantenga, la dinamizzi, la custodisca, la rilanci”. Per il Papa, “la domanda sulla vita è una delle questioni abissali del cuore umano”: “Siamo entrati nell’esistenza senza aver fatto niente per deciderlo. Da questa evidenza scaturiscono come un fiume in piena le domande di ogni tempo: chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo? Quale è il senso ultimo di tutto questo viaggio?”. Vivere, in altre parole, “invoca un senso, una direzione, una speranza”, ed è la speranza “la spinta profonda che ci fa camminare nelle difficoltà, che non ci fa arrendere nella fatica del viaggio, che ci rende certi che il pellegrinaggio dell’esistenza ci conduce a casa”.

“Senza la speranza la vita rischia di apparire come una parentesi tra due notti eterne, una breve pausa tra il prima e il dopo del nostro passaggio sulla terra”,

il monito: “Sperare nella vita significa invece pregustare la meta, credere come sicuro ciò che ancora non vediamo e non tocchiamo, fidarci e affidarci all’amore di un Padre che ci ha creato perché ci ha voluto con amore e ci vuole felici”.

“C’e nel mondo una malattia diffusa: la mancanza di fiducia nella vita.

Come se ci si fosse rassegnati a una fatalità negativa, di rinuncia”, l’affermazione centrale della catechesi. “La vita rischia di non rappresentare più una possibilità ricevuta in dono, ma un’incognita, quasi una minaccia da cui preservarsi per non rimanere delusi”, ha denunciato Leone XIV: “Per questo, il coraggio di vivere e di generare vita, di testimoniare che Dio e per eccellenza ‘l’amante della vita’, come afferma il Libro della Sapienza, oggi è un richiamo quanto mai urgente”. “Nel Vangelo Gesù conferma costantemente la sua premura nel guarire malati, risanare corpi e spiriti feriti, ridare la vita ai morti”, l’esempio scelto dal Papa: “Cosi facendo, il Figlio incarnato rivela il Padre: restituisce dignità ai peccatori, accorda la remissione dei peccati e include tutti, specialmente i disperati, gli esclusi, i lontani nella sua promessa di salvezza”. La consapevolezza da cui partire, per Leone, è che “le relazioni umane sono segnate anche dalla contraddizione, fino al fratricidio”, come insegna la storia di Caino, che “percepisce il fratello Abele come un concorrente, una minaccia, e nella sua frustrazione non si sente capace di amarlo e di stimarlo. Ed ecco la gelosia, l’invidia, il sangue”. La logica di Dio, invece, è tutt’altra:

“Dio rimane fedele per sempre al suo disegno di amore e di vita; non si stanca di sostenere l’umanità anche quando, sulla scia di Caino, obbedisce all’istinto cieco della violenza nelle guerre, nelle discriminazioni, nei razzismi, nelle molteplici forme di schiavitù”.

L’antidoto, allora, è tutto racchiuso in un verbo: “generare”. “Generato dal Padre, Cristo e la vita e ha generato vita senza risparmio fino a donarci la sua, e invita anche noi a donare la nostra vita”, ha affermato il Papa: “Generare vuol dire porre in vita qualcun altro. L’universo dei viventi si e espanso attraverso questa legge, che nella sinfonia delle creature conosce un mirabile ‘crescendo’ culminante nel duetto dell’uomo e della donna: Dio li ha creati a propria immagine e ad essi ha affidato la missione di generare pure a sua immagine, cioè per amore e nell’amore. La Sacra Scrittura, fin dall’inizio, ci rivela che la vita, proprio nella sua forma più alta, quella umana, riceve il dono della libertà e diventa un dramma”.

“Generare significa fidarsi del Dio della vita e promuovere l’umano in tutte le sue espressioni”,

ha proseguito Leone declinando il verbo a tutto tondo:

“anzitutto nella meravigliosa avventura della maternità e della paternità, anche in contesti sociali nei quali le famiglie faticano a sostenere l’onere del quotidiano, rimanendo spesso frenate nei loro progetti e nei loro sogni”.

In questa stessa logica, “generare è impegnarsi per un’economia solidale, ricercare il bene comune equamente fruito da tutti, rispettare e curare il creato, offrire conforto con l’ascolto, la presenza, l’aiuto concreto e disinteressato”. “La Risurrezione di Gesù Cristo è la forza che ci sostiene in questa sfida, anche dove le tenebre del male oscurano il cuore e la mente”, ha garantito il Pontefice: “Quando la vita pare essersi spenta, bloccata, ecco che il Signore Risorto passa ancora, fino alla fine del tempo, e cammina con noi e per noi. Egli e la nostra speranza”.