Attualità
La difficile raccolta delle olive nei territori della Cisgiordania
Nella millenaria cultura mediterranea, l’ulivo rappresenta una coltura sacra, simbolo di vita ed identità per molti popoli. Spesso alla base del sostentamento della comunità, la sua coltivazione si è fusa con la cultura popolare. Un intreccio tra alimentazione, memoria collettiva e patrimonio transgenerazionale.
In Palestina, coltivare olivi è molto più che un’attività agricola: è un atto quotidiano di resistenza e lotta civile.
Negli ultimi anni le coltivazioni — e le terre stesse — sono diventate un elemento centrale del conflitto Israelo – Palestinese, sia a Gaza che in Cisgiordania.
Nella West Bank, dove si trova la maggior parte dei terreni agricoli e delle coltivazioni, il 65% dei terreni agricoli palestinesi ricade in Area C, sotto pieno controllo militare israeliano. Gli ostacoli alle attività agricole sono molteplici.
L’accesso limitato all’ acqua, le confische dei terreni, la distruzione delle coltivazioni, gli arresti arbitrari e le uccisioni, sono volte a costringere gli agricoltori ad abbandonare le proprie terre.
Tutto ciò imposto dall’amministrazione militare israeliana e dai coloni dei nuovi insediamenti, che negli ultimi 30 anni stanno progressivamente erodendo la continuità del territorio palestinese.
Dopo il 7 ottobre, tale pressione si è ulteriormente intensificata. Secondo l’OCHA, in Cisgiordania la stagione 2025 della raccolta delle olive sta registrando il numero più alto di attacchi ai coltivatori palestinesi dal 2020: 126 aggressioni in 70 città e villaggi, con oltre 4.000 ulivi danneggiati. Le violenze in corso in queste settimane comprendono lanci di pietre, cani aizzati, granate stordenti e gas lacrimogeni, incendi appiccati e percosse ai civili.
Nella Striscia di Gaza la situazione è ancora più drammatica: la raccolta delle olive quest’anno è praticamente assente. Un’analisi FAO/UNOSAT, basata su immagini satellitari, mostra che più del 97% delle terre coltivabili è danneggiato o inaccessibile. Inoltre la contaminazione delle risorse idriche aggrava lo scenario di una crisi umanitaria ed ambientale che non accenna a spegnersi. La strategia appare deliberata: la distruzione delle infrastrutture agricole e la limitazione all’accesso alle risorse naturali mirano a fiaccare le comunità e spingerle all’esodo.

In Palestina, oggi più che mai, la terra e l’olivo restano simboli di resistenza e radicamento. In un contesto segnato da distruzioni e restrizioni, la loro sopravvivenza diventa testimonianza viva della volontà di restare, coltivare e ricostruire. È su queste radici che si gioca il futuro delle comunità palestinesi, tra agricidio e resilienza, perdita e dignità.
Ph gentilmente concesse dal “Progetto Olivi – Cultura di Pace” di ACS ONG – Associazione di Cooperazione e Solidarietà
