La cucina del Conclave

Cuochi e camerieri vengono accuratamente selezionati per servire i cibi ai cardinali, mantenendo una certa compostezza e riservatezza

Tra poche ore si aprirà ufficialmente il conclave per l’elezione del nuovo pontefice. Continuano i pronostici su chi possa essere il degno successore di Francesco, su cui graverà l’onere di mandare avanti la secolare istituzione della Chiesa. Nell’attesa che venga pronunciato presto il nome del neo eletto, concentriamoci su qualche altra curiosità riguardante i cardinali riuniti in conclave, obbligati a chiudere i rapporti con l’esterno per tutta la durata della solenne assemblea.

Tra le varie macchine organizzative c’è quella della cucina. Cosa mangiano i porporati e quali sono le regole che sono tenuti a rispettare? Una cucina addetta alla loro nutrizione viene allestita nella Domus Sanctae Marthae, la residenza vaticana fatta costruire da San Giovanni Paolo II e diventata, con papa Francesco, anche dimora pontificia. L’ambiente è assolutamente controllato dalla sicurezza vaticana, che tiene sott’occhio entrate e uscite. Cuochi e camerieri vengono accuratamente selezionati e sono tenuti a prestare giuramento, pena l’immediata scomunica. Nessuno può scambiare informazioni con i cardinali né farsi scappare parole o frasi superflue. I pasti vengono serviti nel massimo silenzio o, comunque, riducendo al minimo qualsiasi forma di interazione verbale. In passato le pietanze erano preparate da monaci e suore, ora invece quest’incombenza ricade su cuochi laici già attivi in Vaticano, o provenienti da strutture affidabili. I momenti dedicati ai pasti sono caratterizzati da sobrietà e regolatezza. A volte si ricorre a dei catering esterni, tenuti sempre sotto stretto controllo e rispondenti a dei protocolli molto rigidi. La colazione include caffè, tè, pane e marmellata; il pranzo consta di un primo, di un secondo, di un contorno e di frutta, la cena è abbastanza moderata. I superalcolici sono proibiti, mentre il vino può essere bevuto in piccole quantità e solo su richiesta. Una piccola attenzione è riservata a chi è affetto da allergie o intolleranze. I piatti sono tipicamente italiani: risotti, pasta al sugo, paste al forno, carni bianche, pesce al forno, verdure grigliate, insalate e frutta di stagione. Il pane è servito fresco ogni giorno e, specie di domenica, viene presentato anche un dolce semplice (crostata o budino). Pare che, in occasione del conclave del 2013, che portò all’elezione di Bergoglio, vari cardinali americani e sudamericani avessero apprezzato molto il cibo italiano.

L’alimentazione nei conclavi del passato

Nel corso dei secoli sono spesso cambiate le regole per la gestione dell’alimentazione dei cardinali in clausura. Con la costituzione Ubi periculum Gregorio X impose delle regole stringenti per lo svolgimento del conclave, onde evitare tempi biblici per l’elezione dei suoi successori. Tra le disposizioni era prevista la riduzione ad un solo piatto per pasto, qualora i porporati non avessero scelto definitivamente un nome preciso entro tre giorni dall’inizio dei lavori. Trascorsi otto giorni venivano serviti solo pane, vino e acqua. Queste misure, adottate dopo il caso singolare di Viterbo (1268-1271), furono rispettate per tanti anni e poi modificate a partire dal Rinascimento. Quando l’elezione di un nuovo vicario di Cristo suscitava lotte intestine tra i membri dell’assemblea, iniziò a circolare l’idea che la consumazione dei pasti fosse il momento più proficuo per la divulgazione illecita di informazioni. Poteva capitare che, ad esempio, i ravioli di un cardinale contenessero un messaggio rivolto al personale della cucina, o che mediante il pollo o il tovagliolo sporco un altro membro riuscisse a comunicare qualche messaggio al mondo esterno. Furono prese allora delle regole precise per il controllo delle pietanze. Queste vennero rigorosamente passate in rassegna dalle guardie, che vietavano quei piatti che potevano contenere dei messaggi segreti, come torte, polli e ravioli ripieni. Vino e acqua venivano addirittura serviti in bicchieri trasparenti. Nel conclave che si svolse tra il 1549 e il 1550 i cardinali poterono gustare i cibi succulenti, preparati dal noto cuoco Bartolomeo Scappi, definito anche il “Michelangelo della cucina”. Fu il più grande cuoco del Cinquecento, stabilitosi a Roma dopo aver vissuto a Milano, a Venezia e a Bologna. Lavorò nel 1536 per il cardinale Campeggi, fu alla corte papale di Pio IV e di Pio V, e cucinò addirittura per Carlo V. Curò nel 1570 un ricettacolo della cucina rinascimentale italiana chiamato Opera dell’arte del cucinare, che contiene le “liste delle cose che si possono servire di mese in mese, le quali generalmente s’usano in Italia”. Vi sono indicazioni di ricette alla romanesca, alla fiorentina, alla milanese, alla napoletana, alla bolognese e alla genovese. La cucina del conclave si è saputa adeguare ai tempi con discrezione, preservando quel po’ di gusto che non guasta, e senza mancare di rispetto al rigido protocollo di segretezza.