Il desiderio, la gioia e il dolore secondo Massimo Recalcati

Note a margine di una lectio al Laterano

“L’inizio non smette mai di iniziare. Non c’è l’inizio a cui si aggiunge il tempo del suo degrado, come quello della maturità e della senilità. Ma il compito dell’inizio è quello di durare”. Racconto e testimonianza, intriso di filosofia, psicologia e psicoanalisi, per declinare il tempo. Quello della felicità, della gioia, del desiderio, del dolore. Parola di Massimo Recalcati, che nel kairos di quaresima offre agli astanti le immagini della condizione umana. “La vita è un pendolo che oscilla tra il dolore e la noia”, diceva il filosofo Schopenauer. Accoglierne l’aforisma o meno é anzitutto questione di sensibilità. Come a dire, c’è più gioia o più dolore? “Ogni volta che siamo di fronte a un suicidio o una minaccia dovremmo chiederci se è possibile vivere questa vita quaggiù, fatta non solo di splendore ma anche di sofferenza e di polvere, senza impazzire?”, si domanda Recalcati. Si può aggiungere: è possibile vivere tutto il tempo esistentivo senza alcun desiderio?, cioè senza intercettare le stelle. “Secondo la concezione greco – platonica il desiderio, attraverso il movimento di Eros, è una spinta che parte da una condizione di mancanza e di scissione che aspira a una ricomposizione della scissione, a una caccia verso l’intero. Nell’esperienza veterotestamentaria il desiderio trova il suo luogo di massima formulazione in Qohelet, dove il predicatore dice che nella forma umana della vita il desiderio è vano, soffio, che la vita, come una corsa affannosa sotto il sole è vacua, alla ricerca di una felicità impossibile. Questa rappresentazione del desiderio contiene una verità, che il desiderio è fatto di inquietudine”. Il cristianesimo offre uno squarcio, come del velo del tempio. Anzi, Gesù stesso inaugura una via nuova. “In Gesù il desiderio non persegue l’ideale della dell’armonia, della legge scritta nella carne. Egli concepisce e incarna una legge che sia fatta per l’uomo. Questo desiderio, unito alla legge dello spirito, si chiama grazia”. In Gesù l’infelicità cronica viene vinta per amore, in una vita donata. “L’atto impuro che Gesù afferma è quello di non aver amato, perché la realizzazione dell’amore è nello spendere la propria vita e non nel conservarla”. Così come ha fatto lui, sulla croce.