Chiesa
Giubileo dei catechisti. Mons. Bulgarelli (Cei): “Annunciare è più che insegnare, servono nuovi linguaggi
Il Giubileo dei catechisti, che si intreccia con il Convegno nazionale promosso dall’Ufficio catechistico della Cei, non è soltanto un appuntamento celebrativo, ma un banco di prova per la Chiesa italiana. La catechesi vive una stagione di trasformazioni: calo dei numeri, fragilità dei percorsi, nuove sfide culturali e digitali. Con mons. Valentino Bulgarelli, sottosegretario della Cei e direttore dell’Ufficio catechistico nazionale, abbiamo approfondito nodi e prospettive di questo tempo.
Il Giubileo dei catechisti arriva in un momento particolare: il Cammino sinodale invita al rinnovamento missionario, mentre i dati segnalano un declino costante della pratica religiosa e dell’accesso ai Sacramenti. Non c’è il rischio che questo appuntamento resti solo celebrativo?
Al contrario, credo che sia una grande opportunità. Da un lato rilancia la necessità di proposte capaci di rianimare la vita delle comunità; dall’altro ci aiuta a rinforzare una rete di catechisti e catechiste ancora molto presente nelle chiese locali, segno concreto di una passione educativa che non si è spenta. Il Cammino sinodale ci chiede di connettere sempre più l’esperienza della fede con la vita quotidiana: in questo senso il Giubileo può diventare davvero un tempo favorevole per farlo, aprendo strade nuove.
Il Convegno nazionale rilancia una provocazione: “Come trasmettere ciò che non si possiede?”. È questa la fragilità più grande della catechesi oggi?
È una sfida cruciale. Trasmettere la fede non significa ripetere concetti astratti, ma mostrare come il Vangelo apre a una vita nuova, capace di rendere liberi e non mortificare la persona. Il problema non è il “sapere delle formule”, ma il lasciare intravedere la bellezza concreta e contagiosa di un’esistenza abitata dalla buona notizia, capace di generare speranza, gioia e scelte autentiche anche nelle situazioni più ordinarie della vita quotidiana.
Il Papa ha insistito fin dall’inizio del pontificato su intelligenza artificiale e nuovi linguaggi. Anche il Convegno mette in dialogo l’algoritmo e il Vangelo. Non c’è il rischio di smarrirsi dietro le tecnologie?
La catechesi ha sempre fatto i conti con i linguaggi del tempo: pensiamo all’arte, alla musica, alle forme espressive della tradizione. Oggi la sfida è il digitale, che plasma mentalità e modi di vivere. È vero, i linguaggi possono alterare la realtà, ma sono anche una risorsa preziosa per trasmettere la fede e renderla comprensibile alle nuove generazioni. Il catechista non può sottovalutarli: fanno parte del suo “kit”. Ma il cuore resta lo stesso: ci si fida solo se si capisce quello che l’altro comunica.
Le famiglie vivono una vita frenetica e il catechismo rischia di ridursi a una tra le tante attività extrascolastiche. Come evitare questa deriva?
L’impegno dell’Ufficio catechistico, e direi di tutta la Chiesa, è mettersi a servizio dei parroci e delle comunità. Il Cammino sinodale ci chiede di uscire dal catechismo “scolastico” per ritrovare la catechesi come cammino di fede condiviso, capace di coinvolgere famiglie, giovani e adulti. È un tempo difficile, ma anche di grande prospettiva: affascinante proprio perché ci obbliga a cercare nuove strade e a immaginare forme più partecipate di annuncio.
In concreto, cosa significa coinvolgere i parroci in questo processo di rinnovamento?
Significa renderli parte attiva nell’elaborare nuovi percorsi. Non possiamo pensare la catechesi solo “dall’alto” o in astratto: deve nascere dal confronto con chi vive ogni giorno le comunità e conosce le difficoltà concrete delle famiglie e dei ragazzi. Solo così l’annuncio potrà essere vivo, credibile, incisivo e capace di generare un autentico rinnovamento pastorale.
