Lemaître e la teoria del Big Bang   

Il sacerdote mise in guardia Pio XII dall’identificare la grande esplosione con il Fiat Lux biblico

L’idea dell’inconciliabilità tra scienza e fede in merito all’origine dell’universo risulterebbe infondata, se pensiamo che le tesi dell’una e dell’altra, inevitabilmente, si sovrappongono, si scontrano e sono in costante dialogo tra loro. È quanto ci insegna Georges Lemaître, sacerdote, fisico e matematico nato a Charleroi nel 1894, ordinato presbitero nel 1923. Da giovane fu concordista e credette che le Sacre Scritture celassero verità scientifiche. Capì col tempo che scienza e fede sono due settori separati ma non in antitesi fra di loro, due cammini che possono armonizzarsi avendo la stessa matrice comune nella verità di Dio. Ricevette la nomina come secondo presidente della Pontificia Accademia delle Scienze nel 1959, e insegnò astronomia, meccanica quantistica, matematica, calcolo delle probabilità e teoria della relatività all’Università cattolica di Lovanio fino al 1964, morendo solo due anni più tardi. Nel 1927, partendo da una soluzione delle equazioni di Einstein, Lemaître teorizzò per primo il modello di un universo in espansione soggetto ad un equilibrio dinamico, in cui la velocità delle galassie lontane (chiamate allora “nebulose”) è proporzionale alla loro distanza. Questa teoria non era condivisa da Einstein, secondo cui l’universo obbediva ad un modello cosmologico statico e immutabile. Nel 1929 l’astronomo Edwin Hubble confermò l’ipotesi di Lemaître, definendo la famosa “legge di Hubble”, secondo cui le galassie si allontanano da noi a velocità proporzionale alla loro distanza. Nel 1931 il prelato formulò l’ipotesi dell’ “atomo primordiale” o “quantum”, anche noto come “Big Bang” (denominazione data da Fred Hoyle nel 1949). Questa piccolissima particella, contenente in sé tutta la materia e l’energia in uno stato di massimo ordine, si è disgregata originando l’universo. Lemaître parlò di “singolarità inziale” o di “inizio naturale”, cioè di quel determinato istante in cui prese vita il creato a partire dal grande scoppio. Einstein, pur essendosi convinto della bontà dell’ipotesi di un universo in espansione, criticò i concetti di “quantum” e di “singolarità iniziale”, poiché li riteneva delle forme di “teologia camuffata”, troppo alleate della religione. Il padre della relatività cambiò negli anni la sua posizione, ritenendo credibile ed esatta la teoria del Big Bang di Lemaître. L’ipotesi dell’atomo primordiale fu assunta come base del nuovo modello cosmologico noto come “Big-Bang caldo”, da cui partirono le ricerche sulla gravità quantistica. Gli oggetti sembrerebbero dunque allontanarsi tra di loro e, facendolo in maniera uniforme, quelli più lontani correrebbero più velocemente di quelli più vicini. Nel 1964 Penzias e Wilson scoprirono la “radiazione cosmica di fondo”, un mare di microonde che pervade l’universo e che può considerarsi prova del Big Bang che ha innescato l’universo. La notizia di quest’ultima scoperta, giunta alle orecchie del sacerdote belga prima di morire, confermò i suoi studi sull’espansione dello spazio. L’ipotesi del Big Bang di Lemaître si adattava bene al principio di creazione cattolica, ma lo stesso scienziato mise in guardia Pio XII quando tentò di identificare la grande esplosione con il “Fiat Lux” della creazione, in occasione di un discorso tenuto da Pacelli alla Pontificia Accademia nel 1951. Le perplessità di Lamaître nei confronti del Santo Padre derivavano da una constatazione di base: il Big Bang è un’ipotesi e non un fatto e, in quanto tale, merita di essere studiata, rivista e forse anche superata. L’esplosione cosmica, avvenuta in un tempo e in uno spazio specifici, non può essere accostata all’atto divino della creazione, come intuì anche Tommaso d’Aquino. Nel creare Dio dà l’essere a ogni creatura, compresi il tempo e lo spazio, trae dal nulla e ama l’universo in ogni istante, ora come all’inizio. Pio XII, di cui Lemaître fu consulente personale, accolse le osservazioni del sacerdote belga. Ciò che conta veramente è che scienza e fede continuino a mantenere un dialogo regolare, proteso alla ricerca della verità. Il reverendo credeva che uno scienziato cattolico dovesse essere bravo nel separare la sua credenza personale dall’attività scientifica di cui si occupava, essendo religione e ricerca empirica ambiti autonomi e circoscritti nei loro rispettivi confini. Questo è fondamentale per evitare incroci difficili e complicati.