Cultura
Dio e la permissione del male
La certezza a cui bisogna aggrapparsi per vincere le tenebre è l’innocenza di Dio
Nel 1965 appariva in Italia Dio e la permissione del male del filosofo e teologo Jacques Maritain (1882-1973). L’originale francese, pubblicato nel 1963, è “Dieu et la permission du mal”. Il tema è quello del male e dell’azione/coinvolgimento o meno di Dio e dell’uomo. A sessant’anni dalla traduzione dell’opera, essa conserva intatto il suo valore, soprattutto per il tema trattato, evidentemente di grande attualità. Prima, però, di declinare il valore per il tempo presente, è d’uopo definirne, sia pure in breve e non esaustivamente, la tesi principale. Un’ultima considerazione preliminare, prima di esplicitare il nucleo portante del testo. Esso nasce, come dichiara lo stesso autore, da tre seminari tenuti nel maggio 1962 con i Petits Frère de Jesus. Nel volumetto Jacques Maritain riprende le considerazioni compiute nel Breve trattato dell’esistenza e dell’esistente, occupandosi della questione del male. Ed ecco la dichiarazione principale, che invero Maritain esprime subitaneamente: “La certezza fondamentale, la roccia a cui ci dobbiamo saldamente aggrappare in questo problema del male morale, è l’innocenza assoluta di Dio“. La questione non è certo nuova in ambito filosofico, se si recupera alla memoria la quaestio posta da Leibniz: “si Deus est, unde malum?“. Che, di pari, significa “Si Deus non est, unde bonum“. È la questione affascinante e complicata dalla teodicea, come pure della morte. Senza voler scomodare i presocratici, ovvero le deduzioni sull’atarassia, lo stesso Agostino d’Ippona si era posto il problema del male e del ruolo o contegno di Dio. In realtà, il tema non è esclusivo ed è immagine di interrogativi che tutti si pongono, dall’erudito all’incipiente, per richiamare termini di matrice tommasiana. Ed è proprio all’Aquinate che, da neotomista, Jacques Maritain si rifà. Ne Dio e la permissione del male rimanda proprio alla riflessione teologica di san Tommaso, così confutando i suoi avversari sulla linea del pensiero. Maritain vuole dimostrare che Dio non è in alcun modo causa del male, e che al massimo lo permette. Il linguaggio, evidentemente, risente dell’aristotelismo che, in ambito teologico, è stata una cifra non indifferente degli ultimi decenni del XX secolo. Ed è proprio rifacendosi a san Tommaso che Maritain definisce “i due assiomi sacrosanti”. Il primo: “Dio non è in alcun modo e sotto nessun rapporto causa del male morale, né direttamente né indirettamente“. Il secondo: “La causa prima della mancanza di grazia viene da noi“. La riflessione dell’autore si muove sul piano ontologico, perché concerne pienamente l’attenzione all’essere stesso del bene e del male. Per Maritain, sulla scorta dell’insegnamento del maestro, dottore della teologia medievale, mentre il bene si muove sulla linea dell’essere, e dunque sulla linea di Dio, che ne è causa, il male è sulla linea del non essere, per cui in alcun modo, né direttamente, né indirettamente, viene dal creatore. Non è fattivo. Causa unica ne è l’uomo, che contravviene alla regola morale. Dio permette il male in vista di un bene più grande. Quale attualità da queste pillole? Maritain è un ottimo punto di riferimento, si direbbe antecedente logico, per affermare la natura e l’identità di Dio, spesso al centro della riflessione pastorale, oltre che teologica. Dio è incapace di pensare e di fare il male, perché in Dio c’è solo amore. La sistematica sta sempre più approfondendo tale realtà, sia nella riflessione sulla Trinità immanente, sia in quella cristologica, dove si indaga “perché Dio si è fatto uomo”. La riscoperta post – conciliare (Maritain l’ha vissuta poco) della Scrittura è un valido ausilio nella direzione verso la natura agapica dell’essere e dell’agire divino.
