Cultura
Storia di Staccione, atleta e deportato
Il calciatore giocò con la squadra del Cosenza
Esce oggi, mercoledì 10 dicembre, la riedizione del libro del 2019 dal titolo Il Mediano di Mauthausen. Storia di Vittorio Staccione, il calciatore che si oppose al regime (Diarkos Editore), a cura del giornalista cosentino Francesco Veltri. Nato a Torino il 9 aprile 1904, Vittorio Staccione crebbe in una delicata congiuntura storica, caratterizzata da un lato dallo scoppio delle guerre mondiali e dall’insorgere dei totalitarismi, dall’altro da una progressiva espansione urbanistica accompagnata dalla fioritura delle fabbriche e dalle proteste dei sindacati, che denunciavano le disuguaglianze della moderna società industriale. Appassionato di calcio fin da bambino, quando si dilettava col fratello minore Eugenio a giocare con un pallone di stracci, Vittorio divenne un centrocampista e un centromediano professionista, in un periodo in cui lo sport iniziava ad essere un’attività aperta a tutti, al di là della classe sociale e della fede politica di appartenenza. Scoperto da Enrico Bachman, capitano del Toro, fece il suo ingresso nelle giovanili granata nel 1919, esordendo con la squadra del Torino nel 1924, con la quale vinse uno scudetto, poi revocato, giocando a fianco di campioni del calibro di Libonatti, Baloncieri e Rossetti. Nel corso della sua carriera agonistica giocò con altre squadre, dal Cremona alla Fiorentina di Luigi Ridolfi Vay, dal Cosenza in Prima Divisione al Savoia di Torre Annunziata e al Chieri. Rientrato a Torino nel 1936, ormai distante dal settore calcistico, Vittorio trovò impiego come operaio della Fiat e presso altre fabbriche. Durante la sua gioventù, alla sua passione atletica alternò quella per la politica con vere e proprie lotte a fianco degli operari e degli sfrattati. Da piccolo frequentò i circoli socialisti torinesi, opponendosi strenuamente alla propaganda fascista. Considerato un sovversivo, le camice nere lo aggredirono e l’arrestarono più volte con l’accusa di resistenza, benché fosse una persona non violenta, buona e riservata, come ricorda il pronipote Federico Molinaro, co-autore del libro insieme a Veltri. All’epoca della sua esperienza con la squadra del Cremona, la città lombarda si trovava sotto l’influenza della politica fascista del generale Roberto Farinacci, al quale non andava a genio uno sportivo socialista come Staccione. Quando il Chieri, con il quale giocò, divenne nel 1937 GIL (Gioventù Italiana Littorato), fino alla caduta del regime mussoliniano, Vittorio, ormai stabile nel capoluogo piemontese e non più coinvolto nel calcio, continuò ad essere braccato dalle milizie. In particolare, dopo lo scoppio della guerra, fu schedato e tenuto maggiormente sotto controllo. La condanna seguì agli scioperi del 1° Marzo 1944, indetti nelle fabbriche torinesi contro il conflitto e le difficili condizioni di lavoro e di sfruttamento imposte dai nazifascisti. I militari gli offrirono la possibilità di fuggire in Germania per scampare alla prigionia ma Vittorio non lo fece, decidendo di consegnarsi ai tedeschi che lo imbarcarono, come prigioniero politico, su un treno diretto al campo di Mauthausen, dove si trovava rinchiuso il fratello Francesco. Vittorio e Francesco si occupavano del trasporto di grossi blocchi di granito estratti da una cava vicina. Nel lager il calciatore incontrò Ferdinando Valletti, mediano del Milano, e Carlo Castellani, attaccante dell’Empoli. Le SS sfruttarono, tra le altre cose, i prigionieri calciatori, tra cui lo stesso Staccione e Valletti, per improvvisare delle partite nel campo di concentramento. Vittorio venne poi condotto a Gusen, uno dei sottocampi di Mauthausen, in Alta Austria, dove morì di setticemia il 16 marzo 1945 a causa di una ferita non curata. Il fratello morì di stenti nove giorni dopo. Vittorio Staccione è diventato il simbolo degli atleti che, durante il secondo conflitto mondiale, pagarono con la loro vita l’opposizione ai totalitarismi e la lotta per la libertà. Il 25 aprile 2022 è stata posta una targa commemorativa per Staccione nel Parco Morrone di Cosenza, dove sorgeva lo stadio “Città di Cosenza” in cui giocò il mediano. “Vittorio Staccione è la dimostrazione storica della ricerca dell’uguaglianza tra le persone e della comprensione reciproca, della voglia di socialità e democrazia. Questa figura, ingenua per alcuni versi, idealista e genuina negli atteggiamenti, ha attraversato, e purtroppo subito in modo tragicamente ultimativo, il periodo più buio della storia umana recente. Egli ci ha lasciato un’eredità immensa, ed è nostro dovere non dimenticare e rinnovare tale messaggio di fraternità, uguaglianza e sportività”, scrive Molinaro.
