Cessare il fuoco a Gaza. L’appello della Comunità del diaconato

La Comunità del diaconato in Italia si unisce all’appello di tante altre Organizzazioni: cessate il fuoco e fermate l’assedio di Gaza.
L’articolo 11 della nostra Costituzione recita: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.
L’assedio imposto dal governo israeliano sta affamando la popolazione di Gaza. I palestinesi sono intrappolati in un ciclo di speranza e delusione, in attesa di aiuti e cessate il fuoco che non arrivano. Non si tratta solo di sofferenza fisica, ma anche psicologica. “I bambini dicono ai genitori che vogliono andare in paradiso, perché lì almeno c’è da mangiare”. È la frase riportata da un’operatrice umanitaria che fornisce supporto psicosociale: l’impatto sui bambini di Gaza è devastante. Non c’è una guerra ma uno sterminio. Con le scorte ormai completamente esaurite, le organizzazioni umanitarie assistono impotenti al deterioramento fisico dei bambini. Bisogna agire ora, prima che non ci sia più nessuno da salvare. I medici segnalano tassi record di malnutrizione acuta, soprattutto tra bambini e anziani. Si diffondono malattie, i mercati sono vuoti, i rifiuti si accumulano e le persone crollano per strada per fame e disidratazione. Le stragi nei punti di distribuzione alimentare sono ormai quasi quotidiane. I governi, ma anche le comunità ecclesiali, devono smettere di attendere il permesso per fare qualcosa. È il momento di agire: La Comunità Europea, i governi e tutte le forze che possono farlo devono intervenire e insieme fermare l’assedio di Gaza!
Nell’Enciclica Pacem in terris (11 aprile 1963) di Giovanni XXIII è scritto: Ogni essere umano è persona, soggetto di diritti e di doveri. Ha diritto all’esistenza, all’integrità fisica, ai mezzi indispensabili per un tenore
di vita dignitoso; diritti riguardanti i valori morali e culturali; diritto di onorare Dio secondo il dettame della retta coscienza; diritto alla libertà nella scelta dello stato di vita; diritti attinenti il mondo economico; diritti di riunione e di associazione, di emigrazione e immigrazione; diritti a contenuto politico”. La Pacem in terris (che è necessario riprendere in mano) è uno dei documenti in cui la Chiesa coglie le
preoccupazioni di tutta l’umanità, in questo caso quella essenziale per la pace. La Chiesa diventa quella ‘esperta in umanità’ di cui parlerà Paolo VI; si pone quale difensore di ogni uomo nelle grandi battaglie per
la promozione della pace e dei diritti umani, senza paure né ritrosie. L’uso della fame come arma di guerra costituisce un crimine di guerra. Ogni giorno senza un flusso costante
di aiuti significa nuove morti evitabili. All’interno e ai confini di Gaza, tonnellate di aiuti – cibo, acqua, medicinali, tende e carburante – restano bloccate nei magazzini, mentre le organizzazioni umanitarie non
riescono a distribuirle. Le restrizioni, i ritardi e la frammentazione imposti dal governo israeliano nell’ambito
dell’assedio totale hanno generato caos, fame e morte. Le organizzazioni hanno capacità e risorse per rispondere su larga scala, ma senza accesso non possono raggiungere nemmeno i propri team, ormai esausti e affamati. C’è una responsabilità morale degli Stati e di ognuno di noi. Facciamo eco al Segretario di Stato, card. Pietro Parolin, per affermare che è ora di riconoscere lo Stato di Palestina, riconosciuto già tempo dal Vaticano: questa è “la soluzione, cioè il riconoscimento di due Stati che vivono vicini uno all’altro ma anche in autonomia e sicurezza”.
Ci rivolgiamo, pertanto, a tutti i diaconi e le loro spose perché si uniscano al nostro appello. Dobbiamo sentire
nel nostro ministero la fierezza di servire con generosa dedizione la causa della pace, andando incontro ai
fratelli, specialmente a coloro che, oltre a patire povertà e privazioni, sono anche privi di tale prezioso bene.
Non c’è pace senza la cultura della cura – scrive papa Francesco in un messaggio per la Pace – quale impegno
comune, solidale e partecipativo per proteggere e promuovere la dignità e il bene di tutti, quale disposizione
ad interessarsi, a prestare attenzione, alla compassione, alla riconciliazione e alla guarigione, al rispetto
mutuo e all’accoglienza reciproca, costituisce una via privilegiata per la costruzione della pace.
“In molte parti del mondo occorrono percorsi di pace che conducano a rimarginare le ferite, c’è bisogno di artigiani di
pace disposti ad avviare processi di guarigione e di rinnovato incontro con ingegno e audacia”.
I diaconi, come artigiani di pace, hanno il compito gravissimo e non deponibile di illuminare con la loro vita, la loro riflessione e le loro parole questo segno di speranza per l’umanità intera. Ne consegue, per loro in
particolare, la chiamata ad esprimere la figura di Cristo Servo secondo la ricchezza e la specificità della grazia
che hanno ricevuto; di più, di quella grazia essi devono essere ‘l’icona luminosa’, costantemente richiamandola nell’incrocio di tutte le vocazioni cristiane in ogni loro situazione e condizione di vita. La
“diaconia della pace” che essi devono incarnare nel loro servizio per la Chiesa e per il mondo si caratterizza ed esprime come diaconia della fede, diaconia della speranza, diaconia della carità.