Casa San Francesco in difficoltà per fondi regionali insufficienti, personale a rischio

Difficile garantire i servizi agli ospiti, bloccata la possibilità di nuove accoglienze nel 2025

Famiglie costrette a lasciare il Paese d’origine alla ricerca di una nuova possibilità di vita. Persone senza famiglia né legami, che portano avanti il peso di giorni fatti di solitudine. C’è chi viveva in strada, chi ha visto i propri sogni sgretolarsi. Potremmo continuare a raccontare altre storie simili, fatte di solitudine, lacrime e fatica. Quei volti stanchi e segnati hanno ritrovato la speranza grazie a Casa San Francesco, la Onlus senza scopo di lucro che assicura assistenza ed accoglienza a persone in stato di bisogno nella città. Raccontare in pillole cosa è Casa San Francesco è difficile. ‘Gente allegra Dio l’aiuta’. Il proverbio che invita ad affrontare la vita con ottimismo è in bella vista sulla parete; di fronte le foto di alcuni degli ospiti della struttura. Osservare quelle foto è ‘toccare con mano’ quanto bene qui si fa. Quelle vite sono uscite dal grigiore di un’esistenza ai margini. Il loro sorriso genuino è la risposta più efficace di chi si è rialzato e non è più solo. Eppure, tutto questo potrebbe finire.

“Mi ritrovo a scrivere con sincero imbarazzo, ma con altrettanto desiderio di trasparenza e di verità per rendere manifesta la situazione di grave difficoltà che attualmente vive Casa San Francesco”. Questo l’incipit della nota stampa diramata nei giorni scorsi da Pasquale Perri, direttore di Casa San Francesco, che aggiunge: “È davvero emergente lo scenario che si va definendo in questo ambito, ma forse anche in altri, i cui effetti stanno compromettendo sin da ora l’erogazione delle prestazioni sociali all’interno di tutte le strutture residenziali e semiresidenziali. A causa delle insufficienti risorse assegnate dalla Regione Calabria, divenute tali per l’accresciuto volume di spesa, non solo si ravvisa la grande difficoltà a garantire la prosecuzione dei servizi per le persone già accolte dal 01/01/2025, ma di fatto appare bloccata la possibilità di procedere a nuovi inserimenti per tutto l’anno, pur per istanze gravi ed indifferibili”. Una doccia fredda. L’incredulità e il senso di sgomento iniziali lasciano il posto ad un dolore e una rabbia muti. Pensare che questa comunità, ormai forte e solida, rischi di franare perché non può più rispondere al grido di dolore degli ultimi è il peggiore degli incubi. “È pesato tanto dare all’esterno un messaggio di allarme rispetto a quella che è l’attuale situazione che sta vivendo Casa San Francesco, è stato pesante perché di fatto non ci siamo mai posti all’esterno per manifestare una situazione di criticità, né tantomeno abbiamo mai calcato una richiesta di aiuto finalizzata a chiedere qualcosa a qualcuno, perché il tempo a nostra disposizione è sempre poco, se non addirittura tiranno, e cerchiamo di utilizzarlo il più possibile sul piano operativo, quindi all’attività di accoglienza e di assistenza alle persone in stato di bisogno. Abbiamo avuto bisogno di tempo per rappresentare bene quello che ci sta accadendo e per lanciare all’esterno una richiesta di aiuto”. Le prime avvisaglie già dall’inizio dell’anno: “Riteniamo che una situazione come quella che si sta manifestando adesso sia provocata da due fattori condizionanti: da una parte quello che è accaduto lo scorso anno soprattutto nell’ambito territoriale di Cosenza, quando per la definitiva adozione del nuovo regolamento che è anche il risultato di una delibera di giunta regionale, la 503 del 2019, sono stati in qualche modo ridisegnati i servizi all’interno dell’ambito territoriale, non solo verificando il rispetto dei requisiti strutturali e organizzativi per i servizi residenziali e semiresidenziali erogati in precedenza, ma certamente facendo una ricognizione più obiettiva dei bisogni del territorio; sono stati anche inclusi in questa fase nuovi servizi e attività che sono state oggetto di nuovi accreditamenti e nuove convenzioni, questo certamente per rispondere ai bisogni del territorio ma che si sono tradotti anche in un aumento delle uscite destinate a queste attività che nel 2025 non ha trovato la giusta traduzione nell’impegno di spesa da parte della Regione Calabria. Questo in qualche modo ha imposto un ridimensionamento dell’offerta degli stessi servizi, non solo riducendo la capienza effettiva all’interno delle strutture, ma in qualche modo bloccando di fatto la possibilità di garantire l’accesso a questi servizi a fronte di nuove richieste per tutto il 2025”. Da un punto di vista gestionale “abbiamo sempre tenuto distinta un’attività di organizzazione e di erogazione dei servizi rispetto ad un piano d’azione per rispondere a nuovi bisogni o anche per trovare nuove forme attraverso le quali declinare in maniera nuova la nostra identità e la nostra mission. È evidente però che in una situazione come quella che si sta definendo, anche fronteggiare un piano di investimenti che è in qualche modo retto da una linea di indebitamento con le nostre banche diventa una grande fatica. Non solo c’è da intervenire per riconcepire il piano della spesa che si rende manifesta per l’erogazione dei servizi ai quali si fa accesso ogni giorno e di pari passo comunque c’è da in qualche modo probabilmente attivare una battuta d’arresto anche a tutto quanto avevamo in cantiere”, spiega. In tutti questi anni Casa San Francesco ha fatto del bene in silenzio, senza clamore, ora, però, il peso dei debiti si fa sentire: “Quello che sta accadendo nell’ambito territoriale di Cosenza, che a livello regionale probabilmente è uno degli ambiti territoriali più vasti e anche con una maggiore presenza di servizi, non sia diverso da quello che sta accadendo un po’ anche altrove. Ritengo che il fabbisogno che esprime il nostro ambito si attesti nell’ordine di qualche milione di euro per garantire l’offerta così come è stata riconcepita e ridisegnata l’anno scorso. Riteniamo che una situazione di questo tipo abbia tale portata perché forse quello che ha fatto da sempre Casa San Francesco, cioè un dare risposta ai bisogni del territorio, di fatto ha impedito di cogliere la portata di alcuni fenomeni, quindi anche di capirne l’entità, oltre che la complessità. Basti pensare che in situazioni di criticità con la quale bisogna fare i conti, bypassano le procedure e le attività di segnalazione per trovare una risposta immediata. Noi in questo ci siamo sentiti sempre direttamente responsabili, quindi abbiamo quasi sempre facilitato un processo risolutivo dei problemi; di fatto oggi questo fa perdere anche di valore, forse anche di notabilità non solo quello che accade all’esterno ma soprattutto quello che accade all’interno dei nostri servizi, soprattutto di accoglienza”. Avere a cuore il prossimo non è solo assicurare un pasto caldo, indossare vestiti puliti e fare una doccia. Significa anche rispondere concretamente ai problemi di salute. Se un tempo la povertà era solo quella materiale, ora ci sono nuove povertà che forse fanno più paura: la povertà relazionale e quella sanitaria: “La precarietà della vita da un punto di vista materiale espone a rischi sanitari molto più elevati perché, nel momento in cui si vive di stenti, è molto più facile contrarre alcune malattie o risultare affetti da patologie di natura psicologica e psichiatrica. Ci siamo resi conto di tutto questo e abbiamo cercato di dare una risposta non solo attivando un punto d’ingresso della nostra casa della salute ma assicurando anche continuità di cura all’interno di una comunità che ha delle professionalità diverse che sono direttamente coinvolte nelle pratiche di assistenza. Ritengo che si trascura tutto quello che aggrava, in maniera quasi irreversibile, situazioni che partono da un disagio economico. Non è pensabile ipotizzare dei servizi di accoglienza residenziale a tempo indeterminato perché l’accoglienza in comunità dovrebbe essere una risposta temporanea ad una forma di disagio, ma è altrettanto vero che le forme di disagio non sono uguali per tutti gli utenti. Certamente si parla di percorsi volti all’inclusione e all’autonomia, ma è evidente che anche questi programmi non è detto che siano accessibili a tutti. Stamattina nel corso di intervista ho detto: ‘Se la povertà sui nostri territori si è esaurita, ditecelo chiaramente. Vuol dire che troveremo un modo nuovo per rendere manifesta la nostra azione, però bisogna dirlo chiaramente che non ci sono più poveri’. Pasquale ha il volto stanco. Il peso sul cuore da reggere è troppo pesante. Gli occhi spenti faticano a contenere le lacrime. Quando gli chiediamo quali siano i risvolti se la situazione dovesse perdurare raccoglie il coraggio con le mani e dice: “Purtroppo con tantissima amarezza e tanto dolore nel cuore con i frati abbiamo dovuto programmare anche due, forse tre, licenziamenti. Se la continuità dei servizi viene a mancare è evidente che il taglio sulle risorse da impiegare è proprio quello sul capitale umano”. La triste notizia, partita come un boomerang, ha scosso subito le coscienze: “Tanta la solidarietà, per la quale diciamo grazie a tutti, a partire dal nostro vescovo, che è stato il primo in assoluto a cogliere la situazione di emergenza nella quale si trova Casa San Francesco e ad esporsi per avvalorare anche la nostra domanda di aiuto. Poi i appresentanti di enti, istituzioni, ma anche la grande rete di amici e di sostenitori di Casa San Francesco non stanno mancando di assicurare anche un sostegno nell’amicizia negli affetti, negli incoraggiamenti; quella che manca ancora è una risposta da chi in qualche modo dovrebbe sentirsi maggiormente coinvolto”. Eppure la luce filtra. Nonostante tutto, la vita va avanti. All’ingresso i dipendenti scaricano la merce contenuta nel furgone appena arrivato: “Anche se dobbiamo fare i conti con questa situazione cerchiamo di non fermarci, non lasciare che la paura ci immobilizzi e in qualche modo tolga anche qualcosa a chi ci chiede aiuto”. Anche gli ospiti sono preoccupati, “tutti temono di dover lasciare le comunità, i dipendenti sono molto turbati, non sanno a chi possa toccare”. Una vicenda spiazzante, di quelle che lasciano l’amaro in bocca. Perché pensare che un posto che funziona contro le ingiustizie del mondo possa finire fa piangere. Una capienza complessiva di 85 posti ripartiti nelle diverse tipologie di utenza uomini, donne e disabili (esclusi gli stranieri presenti nel Centro per richiedenti Protezione Internazionale), a fronte di bisogni assistenziali condizionati dall’assenza di riferimenti familiari, dalla mancanza di una casa e di mezzi di sostentamento, e spesso da forme di disabilità e di dipendenza. Quaranta di questi rappresentano la nostra accoglienza “francescana”, gli altri 45 sono oggetto di convenzione con il Comune di Cosenza che è a capo di un ambito territoriale sociale che unisce altri 13 comuni. “È evidente che non abbiamo altre risorse economiche per tenerci in piedi. Nel momento in cui vengono messe in discussione le convenzioni, tutto quello che è una politica anche di economia e di efficientamento delle risorse compromette un poco”. Quando un posto diventa casa, quando persone diverse per età, etnia e cultura si incontrano allora il modello Casa San Francesco funziona. Noi continuiamo a sperare, a sforzarci di pensare che l’happy ending è possibile, intanto “la raccolta diffusa rimane sempre uno strumento di aiuto anche per far fronte alle piccole spese quotidiane. Riteniamo che ci sia la necessità di un intervento più strutturale, ma questo non esclude la necessità di prendere consapevolezza di quella che è una realtà come Casa San Francesco e tante realtà che accolgono e assistono i poveri su tutto il territorio. È necessaria una maggiore consapevolezza di quanto accade anche al nostro interno, perché forse potrebbe anche servire a favorire una nuova forma di presa di coscienza  di quella che è la povertà e di come ciascuno in qualche modo può fare la sua parte”, conclude.