AI, una sfida aperta

Ricerca, approfondimento, attitudine al confronto, pensiero critico, capacità di condivisione e lavoro cooperativo sono antidoti “scolastici” all’uso disumanizzante della tecnica

Il dibattito sull’intelligenza artificiale si fa ogni giorno più intenso. E non può restare indietro il tema della scuola, del rapporto con il mondo dell’istruzione. Lo stesso Ministero dell’Istruzione e del Merito ha lanciato il primo summit internazionale sull’IA nella scuola, “Next Gen AI”, e poco tempo fa ha pubblicato le prime linee guida nazionali per l’integrazione dell’IA nel sistema educativo.

Sono diverse le problematiche in gioco. Anzitutto l’utilizzo dei sistemi sempre più sofisticati elaborati dalle piattaforme sia free che a pagamento. Nelle aule e nell’esperienza degli studenti e dei docenti, ad esempio, l’IA è diventato un “mezzo” utilizzato con frequenza.

Ecco alcuni esempi ben conosciuti: alcuni ITS hanno già sperimentato “professori” costituiti dall’IA capaci di rispondere alle domande degli studenti, proporre esercizi personalizzati e offrire supporto fuori dall’orario scolastico. Di fatto ricorrendo ad assistenti didattici virtuali.

Non solo: strumenti come ChatGPT (o altre piattaforme) vengono utilizzati per scrivere testi, analizzare fonti e stimolare (o offuscare?) il pensiero critico. Il 52% dei docenti italiani dichiara di usarli regolarmente. E se si chiedesse agli studenti si scoprirebbe che anche loro ne fanno uso probabilmente anche in modo maggiore.

Anche per questo il Ministero ha avvertito la necessità di emanare alcune linee guida, dei “principi chiave” per l’adozione dell’IA a scuola, definendo un quadro normativo e strategico per un’introduzione consapevole dei nuovi mezzi informatici, basato sui valori fondamentali europei e nazionali e ispirato a principi come la centralità della persona, l’equità, la sostenibilità e la tutela dei diritti fondamentali. Così viene ribadita la “centralità dell’essere umano”, sottolineando che l’IA deve essere uno strumento, non un sostituto; nello stesso tempo si insiste sulla protezione dei dati personali, fissando che ogni applicazione deve rispettare il GDPR e l’AI Act europeo. Non solo: un’insistenza speciale è dedicata alla formazione degli operatori, ma anche alla prospettiva di riduzione delle disuguaglianze. “L’IA – scrive il Ministero – anzitutto nei contesti educativi, deve promuovere l’equità, garantendo che tutti abbiano pari accesso alle opportunità e ai benefici derivanti dalla tecnologia”. C’è poi l’aspetto non secondario della sorveglianza e della trasparenza: “L’adozione responsabile di sistemi di Intelligenza Artificiale in ambito educativo richiede che l’intervento umano mantenga un ruolo centrale e insostituibile, in particolare in tutte le situazioni che impattano direttamente sugli studenti e sulle loro opportunità di apprendimento, ma anche nell’ambito dei processi organizzativi e gestionali”.

Il tentativo, evidente, è quello di restare al passo della tecnologia, evitando di essere superati dai “bot”, mantenendo un controllo umano su macchine che prospettano realmente un alto rischio di disumanizzazione.

La sfida è aperta, tra allarme e sperimentazioni. Tanti scienziati si sono già preoccupati di mettere in guardia dall’uso dell’IA e dalle sue prospettive capaci di rivolgersi contro chi l’ha progettata. E qui di nuovo entra in gioco il campo della scuola e dell’educazione: ricerca, approfondimento, attitudine al confronto, pensiero critico, capacità di condivisione e lavoro cooperativo sono antidoti “scolastici” all’uso disumanizzante della tecnica, contribuendo a mantenerla uno strumento e non un padrone.