Adolescenti. Tra paura del fallimento e voglia di futuro, chiedono riconoscimento e ascolto

Un luogo di giudizio più che di crescita. Così gli adolescenti italiani vivono la scuola. Tra paura del fallimento, pressione emotiva e desiderio di riscatto, la generazione Z mostra una sorprendente capacità di speranza e attenzione ai valori morali. Lo rivela la ricerca Ipsos per l’Istituto Toniolo, che il 18 ottobre sarà al centro dell’evento “Parole a scuola” a Milano

Altro che “generazione social”. Gli adolescenti italiani vivono un conflitto silenzioso tra paura costante di fallire e profondo desiderio di costruire un futuro che li rappresenti. È quanto emerge, in estrema sintesi, dall’indagine condotta da Ipsos per l’Osservatorio Giovani dell’Istituto Giuseppe Toniolo, che verrà presentata sabato 18 ottobre a Milano all’Università Cattolica. L’evento sarà al centro del panel “Emozioni: oltre Inside Out. Dare voce a ciò che sentono le nuove generazioni”, nell’ambito della terza edizione di “Parole a scuola”, giornata di formazione gratuita per insegnanti e genitori, organizzata da Parole O_Stili – associazione nata nel 2016 a Trieste con l’obiettivo di responsabilizzare e educare gli utenti della rete a scegliere forme di comunicazione responsabile e non ostile – con Università Cattolica e Istituto Toniolo

Scuola come luogo di giudizio. L’indagine, realizzata su un campione rappresentativo di 815 adolescenti tra i 14 e i 19 anni attraverso la metodologia Cawi (Computer Assisted Web Interview), restituisce un quadro complesso e sfaccettato del vissuto emotivo dei giovani italiani, in particolare nel contesto scolastico.

La scuola, infatti, è percepita più come luogo di giudizio che di crescita,

e un brutto voto può diventare un’etichetta identitaria.

Tra fragilità e desiderio di futuro, gli adolescenti “non chiedono di essere protetti da ogni difficoltà, ma di essere riconosciuti nella loro fatica e ascoltati.

Hanno bisogno di figure di riferimento e di comunità di senso che sappiano accompagnarli nel percorso di crescita, senza ridurli a etichette di ‘successo’ o ‘fallimento’”, spiega Elena Marta, professoressa di Psicologia sociale e di Comunità all’Università Cattolica, secondo la quale, “dietro la fragilità c’è anche un desiderio di riscatto e di futuro”.

Speranza attiva: i ragazzi vogliono farcela. Secondo la teoria di Snyder, si legge nella ricerca, la speranza “attiva” si articola in due dimensioni: “pathway”, ossia capacità di immaginare vie alternative, e “agency”, ovvero motivazione interna per raggiungere i propri obiettivi).

Nonostante il clima sociale spesso scoraggiante, gli adolescenti italiani mantengono buoni livelli di speranza attiva.

Queste le medie registrate: pathway 3,61 su 5; agency 3,52 su 5. I più giovani (14-16 anni) risultano più propositivi (pathway 3,66) rispetto ai 17-19enni (3,54). Non emergono invece differenze significative tra maschi e femmine.

Il peso del fallimento. Diffusa e pervasiva la paura di fallire: i punteggi medi oscillano tra 2,4 e 2,9 su 5, con il valore più alto legato alla vergogna e all’imbarazzo dopo un errore. Seguono la svalutazione di sé ed il timore di deludere le persone significative. Meno rilevante, ma presente, il timore di diventare impopolari. Marcate le differenze di genere: le ragazze riportano livelli più elevati di paura rispetto ai coetanei maschi. Anche l’età incide: i 17-19enni vivono il fallimento con maggiore intensità e

l’insuccesso, soprattutto in ambito scolastico, è vissuto come giudizio complessivo sul proprio valore.

Liceali sotto pressione. Contro ogni aspettativa, gli studenti dei licei vivono una pressione emotiva maggiore rispetto a chi frequenta istituti tecnici o professionali. Le cause? “Maggiori aspettative di riuscita e minore tolleranza verso la fatica personale. Il liceo diventa così il luogo dove il giudizio pesa di più”, spiegano i curatori della ricerca.

Il linguaggio: barriera o risorsa? E se il linguaggio ha un impatto profondo sulla costruzione dell’identità, commenti sprezzanti, voti umilianti, frasi pronunciate online o offline possono diventare micro-violenze quotidiane che lasciano segni profondi nell’autostima. La scuola diventa così un osservatorio privilegiato:

un voto negativo può trasformarsi in un’etichetta che rimane addosso come un marchio.

“Dietro atteggiamenti di indifferenza o arroganza si nasconde spesso una grande vulnerabilità – si legge nell’indagine -. I ragazzi chiedono linguaggi educativi capaci di riconoscere, sostenere e valorizzare”.

Empatia e valori morali. Contro ogni stereotipo, la generazione Z dimostra

buoni livelli di empatia e attenzione ai principi morali.

I valori più sentiti, secondo la scala di moral foundation relevance, sono: prendersi cura/non arrecare danno 4,61 su 6; giustizia 4,58 su 6; purezza e integrità personale 4,51 su 6. Le ragazze e i più giovani (14-16 anni) risultano i più sensibili. Anche l’empatia, sia affettiva (sentire con l’altro) che cognitiva (capire l’altro), è più sviluppata in questi gruppi.

Lo sguardo degli adulti. “Questi dati non parlano solo della generazione Z, ma anche di noi adulti – sottolinea Rosy Russo, fondatrice e presidente di Parole O_Stili -. Ci ricordano che

il nostro sguardo su di loro, le parole che usiamo, la fiducia che sappiamo trasmettere fanno la differenza.

Spesso li vediamo fragili e disinteressati, ma dietro c’è un tesoro nascosto di sensibilità e di voglia di costruire il futuro che aspetta di essere trovato. È nostro compito – conclude – creare spazi in cui questo valore possa emergere”.