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Sergio Marchionne, la cultura del fare. Il manager che ha scelto la strada meno facile

Cosa avrebbe fatto Marchionne nel dopo Fiat-Fca non si potrà mai sapere. Lo volevano in politica, guru del management o ricco pensionato conferenziere. La formazione deduttiva - non ispirarsi al passato o alle emozioni e ragionare su tutte le ipotesi, scegliere il meglio e crederci - lo avrebbe certo portato chissà dove, certamente a una nuova sfida.

Sergio Marchionne, la cultura del fare. Il manager che ha scelto la strada meno facile

Non è facile capire se Sergio Marchionne lascerà un’impronta nella managerialità italiana o se il suo percorso resterà un unicum personale, frutto anche delle condizioni particolari in cui Fiat si è trovata almeno per tre volte nella sua storia. L’esito nefasto della sua malattia non permetterà nei prossimi anni di raccogliere dal protagonista il racconto “a distanza” di tante scelte. Nell’alta dirigenza sono stati eliminati più livelli decisionali, molti se ne sono andati e le uscite non sono state certo ostacolate. “La leadership non è anarchia – è stata una delle sue frasi preferite – e in una grande azienda chi comanda è solo. La collective guilt, la responsabilità condivisa, non esiste. Io mi sento molte volte solo”. E’ stato un rottamatore di comportamenti acquisiti, dove il maglione fra le cravatte è stato solo un aspetto estetico che lo ha avvicinato più agli ex ragazzi della Silicon Valley che ai circoli imprenditoriali, un decisore che si è caricato la responsabilità di scelte delicatissime. Probabilmente molto faticose. Condividere decisioni con tutti significa anche “assicurarsi” in quota-parte dagli eventuali errori. Ha cercato esplicitamente una rottura con il “tenere buoni tutti”, molto italiano e gattopardesco come notava spesso il manager nato a Chieti. Poco concertativo, molto pragmatico, vicino fisicamente e nello stesso tempo abissalmente distante dai rituali della categoria. “Capita – ha commentato in queste ore il presidente della Confindustria Vincenzo Boccia a proposito della clamorosa uscita di Fiat-Fca dall’associazione – che singole aziende possano dar vita a pratiche più avanzate rispetto alle organizzazioni di rappresentanza, del resto si va avanti per traumi o per confronti. Marchionne scelse la prima strada e noi invece siamo arrivati più tardi, ma l’approdo è sempre lo stesso”.

Italiano di nascita (figlio di un maresciallo dei carabinieri, alto senso del dovere), internazionale per formazione e cultura. Se il curriculum può essere una traccia delle convinzioni maturate vi si leggono facilmente l’impronta del controller di gestione e del legale di trattativa, gli incroci fra business e le lettere e la filosofia. Poter vedere gli italiani dall’estero (condizione diventata comune oggi a molti giovani che stanno facendo strada lontano dalla Penisola), soffrirne i difetti con quel misto di nostalgia e rabbia che non diventano rassegnazione, lo ha aiutato ad affrontare la forte discontinuità. Buttare all’aria il puzzle e provare a ricomporne uno nuovo con l’aiuto di chi fino ad allora aveva vissuto solo frustrazioni professionali. Rottura con alcune sigle sindacali e soggetti intermedi, in dialogo ideale con i dipendenti del gruppo nel mondo. Un percorso parallelo – e non a caso riconosciuto da entrambi – con le prime mosse del Governo Renzi. La politica da usare (ha colto le attese di Barack Obama sul rilancio dell’auto Usa), più che esserne usato. Il top manager, che ha chiuso il suo percorso mezzo secolo dopo aver lasciato l’Italia, consegna idealmente ai colleghi alcune indicazioni non facili da metabolizzare per la nostra cultura, manageriale e non. Parole d’ordine: competizione non mediocrità, meritocrazia su risultati acquisiti, leadership, conquista di primati. L’eccesso di burocrazia – diceva – da una parte uccide le imprese e dall’altro scoraggia la concorrenza di chi vuole entrare sul mercato. I posti di lavoro non si giudicano nel breve ma nel saldo fra lavoro perso e lavoro creato. Un tot di incertezza sulla tenuta del proprio posto di lavoro (tema di stretta attualità) va messa in conto e gestito senza scaricare sulle imprese tutto il costo sociale, sicurezza e flessibilità devono trovare un punto di equilibrio, certezza nelle regole e nelle leggi. Manca il lavoro perché manca il capitalista che rischia – soldi e tempo – in un’impresa nuova. Sono concetti che si possono ascoltare in convegni vari. La differenza di Marchionne è stata nell’affrontare direttamente – da cocciuto abruzzese – tutti i nodi in casa Fiat e in casa Italia preferendo “parlare chiaro. Non sempre aiuta a farsi nuovi amici o a tenersi quelli vecchi. Ma credo aiuti a essere diretti e onesti». Cosa avrebbe fatto Marchionne nel dopo Fiat-Fca non si potrà mai sapere. Lo volevano in politica, guru del management o ricco pensionato conferenziere. La formazione deduttiva – non ispirarsi al passato o alle emozioni e ragionare su tutte le ipotesi, scegliere il meglio e crederci – lo avrebbe certo portato chissà dove, certamente a una nuova sfida.

Fonte: Sir
Sergio Marchionne, la cultura del fare. Il manager che ha scelto la strada meno facile
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