Territorio
Vincere la balbuzie oggi è possibile

Migliaia di persone hanno ripreso in mano la propria vita grazie al metodo Psicodizione
Come oggi, ogni anno si celebra in tutto il mondo la Giornata Mondiale della Voce (World Voice Day), al fine di sensibilizzare sulla sua importanza come strumento comunicativo; materia particolarmente complessa che coinvolge un ampio spettro di discipline come la fisica e la musica. In questa giornata vogliamo dare spazio a chi, la voce, ha dovuto riconquistarsela come Natale De Bonis, praticante avvocato cosentino, che ha intrapreso il percorso del metodo Psicodizione, ideato dalla psicologa e formatrice Chiara Comastri, esperta in public speaking e comunicazione. “Inizialmente non ero molto aperto a queste possibilità perché pensavo che con una problematica di questo tipo me la sarei potuta cavare da solo. Poi ho compreso che non sarei giunto ad una risoluzione. A scoprire Psicodizione fu mia madre, attraverso ricerche online. Venivo fuori da mesi nei quali la mia vita era letteralmente complicata dalla balbuzie. Non era semplice, a quel tempo frequentavo le scuole superiori”.

Il cambiamento, iniziato nel 2013 con un corso intensivo settimanale a Catania, viene descritto da Natale come punto di svolta nella sua vita: “La mia vita con Psicodizione è letteralmente cambiata. Ricordo l’esame di maturità come una vittoria e la laurea come una vittoria ancora più grande”. Un percorso, il suo, che nasce dal desiderio di libertà. “Nel primo giorno di corso – racconta – Chiara ci chiese: ‘Cosa ti aspetti da questo percorso?’ ed io risposi: ‘Voglio riprendere in mano le chiavi della mia libertà’. Perché le chiavi le abbiamo, ma è la scelta che ti permette di riprenderle. Psicodizione è questo: un’opportunità che non ti viene a bussare alla porta, sei tu che devi scegliere di accoglierla, armato di coraggio”. Nelle parole di Natale ritroviamo le stesse dell’ideatrice di una metodologia che vanta con successo centinaia di migliaia di interventi. L’abbiamo intervistata per PdV.
Il metodo di Psicodizione si basa su un approccio Cognitivo-Comportamentale. Ce ne parla? Ho ideato il metodo 20 anni fa, nel 2004, perché avevo bisogno di qualcosa che desse davvero sollievo alle persone sull’aspetto del controllo del suono. Lavoriamo sulla parte comportamentale e fono-articolatoria per una produzione consapevole e intenzionale del fonema: sia una “A”, una “S”, una “J”, qualsiasi suono si debba pronunciare, superando così anche la paura. Molto spesso la persona che balbetta è anche fluente in tanti momenti della giornata. Quindi parto dal presupposto che ci sia già una memoria sana che funzioni; semplicemente la persona non è consapevole di quello che succede quando parla bene. Il nostro lavoro in Psicodizione è renderla consapevole dei movimenti, dei meccanismi, del modo di muoversi che produce un suono corretto. Una volta riconosciuti, questi vengono ricreati affinché ne diventino consapevoli. Da qui, piano piano, tutto torna automatico e si normalizza. Chiaramente bisogna anticipare i possibili errori che possono subentrare quando si parla, quindi le spezzettature, le parti di frasi che scivolano via, la caduta del finale o di inizio frase o ancora il blocco anticipatorio che subentra tra il silenzio e il suono della prima lettera che si vorrebbe pronunciare come in “a che ora ci vediamo?”. Già prima di dire la “A”, nel silenzio percepisco il blocco anticipatorio, come se il corpo non mi consentisse di pronunciarla. Qui c’è tutto un lavoro che noi chiamiamo “non suono nel silenzio” per creare tutte le particelle che mi porteranno a produrre quel suono in modo che la persona torni ad essere causativa. È come se la persona tornasse a guidare il proprio autobus anziché essere trasportata in maniera casuale, quindi sento che ripristino la mia causatività. È sempre comportamentale perché lavoriamo anche sull’atteggiamento: accompagniamo la persona in maniera personale nelle situazioni di maggiore scomodità; si lavora sull’atteggiamento, sul coraggio, sullo sguardo, sul senso di piacevolezza del vivere le situazioni senza sentirsi costantemente braccati o in pericolo. Poi c’è tutta la parte cognitiva che, lavorando sui pensieri, ricrea appositamente quei meccanismi di blocco. Una volta superati, quei pensieri aiutano a vincere la paura ottenendo così i primi risultati. E allora succede che inizi a cambiare: la paura iniziale comincia ad essere un “lo so fare”, un pensiero amico grazie al quale cambi la realtà di te nella relazione con la vita e con gli altri. Le risposte fisiologiche alle situazioni come il batticuore, la sudorazione, il tremore della voce o l’affanno respiratorio, malgrado le prime volte, iniziano ad allinearsi e così, ottenendo i primi risultati, vinci, sei soddisfatto, inizi a notare come anche il corpo reagisce a quelle circostanze, prima scomode, in maniera sempre più efficace.
Quali fasce di età vengono interessate? Il percorso di Psicodizione lavora in modalità intensiva e diretta con chi balbetta partendo dai bambini di 6, 7, 8, 9, 10 anni, passando per gli adolescenti, fino agli adulti e anche agli anziani. Abbiamo avuto partecipanti anche di 70 o 82 anni. Per i bambini in età prescolare, invece, abbiamo un bellissimo percorso semidiretto: in questo caso è il terapeuta che educa i genitori a lavorare a casa con il bimbo. Lo fa attraverso il gioco, coinvolgendo il bambino ed i genitori in attività che gli permetteranno di apprendere delle metodologie in modo naturale e divertente. Quindi possiamo lavorare su entrambi i momenti della vita: sia nella fascia prescolare, entro i sei anni, sia dai sei anni in su, fino agli over.
Cos’è la balbuzie? La balbuzie rientra nel campo delle neurodivergenze e viene definito come un disturbo del neurosviluppo. Il DSM-5, il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, la definisce come disturbo della fluenza con esordio nell’infanzia, inserendola nel sottogruppo dei disturbi della comunicazione. Sono diversi i fattori coinvolti nell’insorgenza della balbuzie: sicuramente una predisposizione genetica e fattori che hanno a che fare con lo sviluppo linguistico, del proprio linguaggio. Secondo le ricerche i due estremi, quindi un ritardo o una particolare precocità, sono maggiormente esposti alla balbuzie. Un altro fattore importante è quello psicoemotivo legato alla personalità e alla modalità di reagire agli errori comunicativi: essere più introversi, timidi o tendenti al rimuginio può influire così come l’essere estroversi o propensi a buttarsi nonostante le difficoltà. Segue poi quello ambientale, quindi famiglia, scuola, contesto sociale e relazionale. Un ambiente può essere stimolante e accogliente, oppure al contrario soppressivo e invalidante. Questi fattori – fisiologici, linguistici, psicoemotivi e ambientali – compongono il modello multifattoriale collegato all’insorgenza della balbuzie. Nel 75% dei casi, i bambini che iniziano a balbettare possono andare incontro a una remissione spontanea del sintomo. Quando questo non avviene e la balbuzie si consolida oltre i sei anni, si parla di balbuzie persistente. In questi casi si attiva un meccanismo di blocco anticipatorio, cioè percepisco già prima il suono o la parola che trovo difficile da dire. Per molte persone la definizione nella quale ci si identifica, oltremodo legata a meccanismi psicologici che si sono attivati nel tempo a causa dei fallimenti conseguiti nella comunicazione, è sapere esattamente ciò che vorrei dire, avendo un pensiero chiaro rispetto al contenuto, avendo allo stesso tempo consapevolezza dei punti di maggiore ostacolo. Questa previsione genera uno stato di allerta, anche corporea, che contribuirà ad alimentare una profezia autoavverante: l’anticipazione dell’errore favorisce il blocco effettivo rafforzando la difficoltà.
Cosa non è? Intanto non è un problema di linguaggio. Abbiamo già anticipato che il DSM inserisce la balbuzie nel sottogruppo dei disturbi della comunicazione, quindi non è mera meccanica coinvolta. Non è un problema collegato all’ansia: il DSM specifica che la balbuzie è caratterizzata da ripetizioni che causano ansia. Nella balbuzie evolutiva l’ansia sopraggiunge alle disfluenze, nel momento in cui si inizia a percepire la difficoltà del fare qualcosa che fino a poco tempo prima era facile fare. L’insorgenza si colloca solitamente tra i due anni e mezzo e i quattro anni e mezzo. È in quel momento, di fronte a questa difficoltà nuova e ripetuta, che l’ansia può manifestarsi. Con la balbuzie persistente si innescano aspetti psicologici più noti, come l’ansia anticipatoria e la profezia autoavverante, che creano maggiore complessità. In questo contesto la balbuzie è per alcuni, non per tutti, collegata a situazioni nelle quali gli stessi si espongono maggiormente all’ansia. È il caso, per esempio, di uno studente che parla benissimo con i compagni ma, durante un’interrogazione, con la tensione della valutazione o il timore del giudizio degli altri, inizia a balbettare. Tutto questo movimento emozionale interno crea più facilmente la sensazione dei blocchi anticipatori, quindi del manifestarsi della balbuzie. In questo caso, per chi balbetta, c’è quindi il manifestarsi dell’aspetto più emotivo che viene coinvolto, tant’è che viene riconosciuto. Sento spesso dirmi : “Parlo bene solitamente tranne quando sotto ansia” oppure “Parlo bene tranne quando mi colgono all’improvviso e mi sento braccato o giudicato”. Allo stesso tempo, possono manifestarsi casi opposti: ci sono persone con balbuzie che, sotto stress o ansia, attivano un meccanismo di controllo maggiore che aiuta loro a parlare con maggiore fluidità e persone che, probabilmente per il meccanismo opposto, in un contesto tranquillo e familiare manifestano balbuzie. Perché? Presumibilmente perché il senso di accettazione e affetto alleggerisce la pressione sociale permettendo alla persona di esprimersi liberamente, senza timore del giudizio. Quindi non per tutti l’ansia è una variabile significante per la manifestazione della balbuzie. C’è molta differenziazione. Ci sono molti falsi miti sulla balbuzie. Uno tra i più diffusi è che il bambino inizi a balbettare per attirare l’attenzione, magari dopo la nascita di un fratellino. In realtà non è così perché se volesse farlo, non sceglierebbe qualcosa che provochi disagio. La verità è che la fascia d’età tra i due anni e mezzo e i quattro anni e mezzo è quella maggiormente colpita dall’insorgenza della balbuzie, quindi può capitare che coincida con certi eventi familiari, ma non ne è la causa. Un altro mito è che la responsabilità sia dei genitori troppo apprensivi, ma spesso, con lo stesso stile educativo e più figli, solo uno di loro potrebbe manifestare balbuzie. Questo avviene perché c’è una predisposizione genetica che chiaramente fa da padrona. Alcuni, ancora, credono che la balbuzie dipenda dalla respirazione. No, avviene il contrario: prima arriva la percezione del blocco anticipatorio e solo dopo, per cercare di risolverla manifesti alterazioni di respiro. Quindi contrai l’apparato respiratorio o usi il corpo: c’è chi schiocca le dita, chi muove la lingua in modo particolare o chi batte i denti per darsi un ritmo prima di iniziare a pronunciarsi. Ognuno diventa molto creativo nel tentativo di superare la balbuzie.
In che modo le esperienze personali che ha condiviso hanno contribuito alla sua ideazione? Ho iniziato a balbettare quando avevo tre anni e fino ai miei 20-22 la mia vita è stata molto segnata dalla balbuzie. Mi limitavo tantissimo: nella socialità fingevo di non avere blocchi, stavo zitta nei momenti più importanti, sorridevo sempre in modo da essere accettata dal gruppo, non dicevo mai davvero la mia; in qualche modo mi proteggevo. Certamente le esperienze personali mi hanno fornito forti intuizioni sul cosa volessi risolvere ideando questa metodologia: volevo permettere alle persone di avere la possibilità di riprendere in mano la propria vita, senza scendere a compromessi con le gabbie mentali e meccaniche che la balbuzie, in qualche modo, comporta. In questo senso, essere una persona che balbetta o essere una persona balbuziente per me voleva dire moltissimo. Amo definirmi oggi una “ex balbuziente” perché mi identificavo fortemente nelle mie balbuzie. Non ero semplicemente una persona che balbettava, quindi una persona con piena consapevolezza di sé, dei propri sogni e desideri. Era per me molto difficile discernere e discriminare le due cose, i due aspetti, anche se dentro sapevo di avere quel fuoco che è voglia di condivisione dei propri pensieri e desiderio di esserci. La cosa che più mi faceva soffrire era proprio questa: non essere vista per quello che ero. Venivo percepita attraverso il filtro della mia balbuzie. Questo mi impediva di essere considerata per quelli che erano i miei intenti, i miei valori, i miei colori, le mie capacità e questo è stato frustante tant’è che ho rischiato grosso di rinunciare al sogno per il quale oggi svolgo la professione. Già dal quarto liceo sentivo in me un impulso all’aiuto molto forte. Volevo dare il mio contributo affinché le persone potessero stare meglio. Allo stesso tempo mi chiedevo: “Come faccio a fare la psicologa se balbetto?”. Pensavo che, anziché aiutarli, avrei trasmesso maggiore ansia ai miei pazienti. Così, iniziai a valutare il mio futuro come insegnante di ginnastica, ma sarebbe stata una scelta di serie B. A posteriori penso a tutta la possibilità di aiuto che avrei sprecato se mi fossi lasciata influenzare dalla balbuzie.
In che modo il suo approccio affronta la paura del giudizio e la difficoltà comunicativa del parlare in pubblico? Teniamo presente che l’ansia, la paura di parlare in pubblico, il timore del giudizio, eccetera, generano energia nel corpo. La possiamo percepire: è una vibrazione, una pressione o quella sensazione di restare con il fiato sospeso. È qualcosa di fisico che si sente. Quando impari a usare quest’energia in modo utile, non impari a controllarla o a gestirla calmandoti. Assolutamente no. Per anni mi hanno detto “calmati e vedrai che parlerai bene”, ma non è quella la chiave. La chiave è imparare a usare l’ansia, la paura o la fretta che senti trasformandola in benzina. Tutto il lavoro comportamentale che facciamo si concentra sulla stabilità del corpo, dello sguardo, sul senso del suono, sul costruire il suono con la lingua, le labbra e sulla sensazione tipica della carnosità fonemica. Questo apparato comportamentale che alleniamo ci permette di trasformare l’energia, un po’ come un macinapepe che agisce su un solo chicco. Il chicco di pepe è grosso, è un sassetto, ma in quella forma non è utilizzabile: se per caso lo mordi, può alterare tutto il gusto della pasta. La soluzione non è eliminare il pepe dalla tua vita, ma trasformarlo. Attraverso il macinapepe, puoi cambiare la forma di quel chicco e spolverare quanto pepe vuoi per dare valore ai tuoi piatti. La stessa cosa vale per l’ansia. L’ansia è energia, la paura è energia. Se imparo a cambiarle di forma grazie al lavoro comportamentale, imparo a non avere paura della paura, imparo a essere libero nelle situazioni di vita dove c’è anche l’imprevisto e imparo a essere padrone delle mie emozioni. Sento che mi radico nella mia comunicazione ancora di più grazie a quelle emozioni, tanto so trasformarle. Quindi, il gioco è proprio questo: trasformare le emozioni per affrontare le situazioni con sicurezza.
C’è una storia significativa che vorrebbe condividere? Sono tantissime le storie di persone che hanno ripreso in mano la propria vita, anche da adulti. C’è quella di un formatore, Roberto De Ruvo, che attualmente collabora con noi da più di dieci anni. Fece il corso con me all’età di 36 anni. In terza media, come dice sempre lui, s’è fatto mandare fuori “a calcioni nel sedere da scuola” perché non voleva più sentire la frustrazione dell’interrogazione. Così, ha iniziato a lavorare nell’attività di famiglia. Voleva fare basket, anche se il suo sogno più profondo era fare il maestro. Dopo il corso, a 37 anni, si è iscritto alle serali e dopo aver conseguito il diploma ha aperto un baby parking; oggi lavora con i bambini in tutti i laboratori di Psicodizione che coinvolgono l’approfondimento delle emozioni e con le famiglie facilitando l’interazione con i più piccoli. Si è ripreso in mano un pezzo di sogno. Queste storie mi fanno venire la pelle d’oca, immaginando al talento che sarebbe stato sprecato se una difficoltà sarebbe prevalsa. Psicodizione, in questi vent’anni è piena di storie come questa che fanno dire: “Ne vale sempre la pena”.
Quali cambiamenti significativi ha riscontrato lungo il percorso di evoluzione del suo metodo? I cambiamenti più significativi sono stati sulla presenza, sulla sensazione dell’esserci. C’è stato uno switch dal mero approccio meccanico al lavoro sulla persona a 360°. Sentire la voce diventare la propria, non più alterata da meccanismi di mascheramento finalizzati solo all’evitamento del blocco è stata la prima grande conquista. Abbiamo iniziato a lavorare sulla piacevolezza dei propri suoni e sulla libertà di cambiali fino a fine frase. Un altro cambiamento significativo è stato sul “non suono” di cui abbiamo già parlato. Penso sia una chiave fondamentale per evitare che sopraggiunga il blocco anticipatorio perché pulisce il pensiero restituendo presenza all’interno di quella bolla comunicativa che è fatta di scambio, sia quando si parla che quando si tace. Un esempio che faccio sempre è quello della musica: la melodia è fatta di note e di pause tra le note, ma in questo alternarsi di “suono” e “non suono” c’è sempre presenza. Ancora, l’introduzione del coaching individuale. Dopo che la persona ha preso gli strumenti in maniera intensiva, per poter essere efficace nella comunicazione, può essere seguita individualmente per settimane in un rapporto 1:1 che tiene conto della propria individualità e caratteristiche. È un lavoro che ha permesso e permette di superare in fretta le difficoltà, anche emotive. E questo, chiaramente, ha amplificato enormemente il successo di una metodologia.