Cultura
Il Bellini e il Sodoma in mostra a Castel Gandolfo

Gli artisti giocano molto sull’uso delle diverse tonalità cromatiche e sull’espressione delle emozioni
Castel Gandolfo ospita una mostra d’arte su due capolavori rinascimentali di assoluta bellezza: il “Compianto sul Cristo” di Giovanni Bellini e il “Cristo morto sorretto da angeli” di Giovanni Antonio Bazzi detto il Sodoma. La rassegna, inaugurata il 5 aprile, è promossa dai Musei Vaticani ed è curata da Fabrizio Biferali del Reparto per l’Arte dei secoli XV-XVI. L’esposizione di queste due opere, arricchita da pannelli didattici bilingui, favorisce un’esperienza spirituale ed estetica senza precedenti, fondamentale per vivere bene il Giubileo della Speranza e per rendere più fecondo il periodo quaresimale. Giovanni Bellini (1427/30 circa – 1516), detto anche il “Giambellino”, può essere considerato il rinnovatore della pittura veneziana. Dopo aver mosso i primi passi nella bottega del padre Jacopo, approfondisce le sue conoscenze studiando le creazioni artistiche di Andrea del Castagno, di Andrea Mantegna, che gli trasmette la passione per l’antico, di Piero della Francesca e, in una fase più matura, di Antonello da Messina, in un’inesauribile ricerca che dura per tutta la sua vita. La pittura del Bellini è costruita interamente sul colore e sulle relazioni con la luce, elementi che gli permettono di raggiungere l’unità, l’equilibrio e l’armonia, i più alti valori della classicità rinascimentale. Crea anche la prospettiva cromatica, conferendo il senso della distanza mediante la variazione graduale dei toni del colore, prediligendo in primo piano la luce calda e dorata, e in secondo piano le varietà più fredde. Questa sua capacità di modulare i rapporti tra luce e colore influenzerà Giorgione e Tiziano, che si formeranno presso la sua bottega. Il genio ricerca un dialogo emotivo tra le figure e dà spazio alla natura e al paesaggio, raggiungendo vertici espressivi fortemente poetici e innovativi. In età adulta accentua la raffigurazione della realtà, alterna nelle sue opere tematiche bibliche e profane, e descrive Santi e Madonne a partire da uomini e popolane veneziane. Il “Compianto su Cristo morto” o “Unzione delle Piaghe”, ora in mostra a Castel Gandolfo, appartiene alla fase della sua maturità artistica. È una preziosa tavola conservata nella Pinacoteca Vaticana che il Bellini realizzò intorno al 1475, come cimasa della Pala di Pesaro, databile tra il 1471 e il 1483, custodita nei Musei civici della città marchigiana. La tavola viene rubata dai francesi dopo il Trattato di Tolentino del 1797, torna in Italia grazie ad Antonio Canova e viene collocata nel 1820 nella Pinacoteca Vaticana. Ha ricevuto nel tempo varie attribuzioni, da Bartolomeo Montagna a Giovanni Buonconsiglio fino al Mantegna, ma solo dal 1913 è riconosciuta come parte della Pala di Pesaro. È stata anche sottoposta ad un lavoro di restauro, che ha ripristinato la brillantezza dei suoi colori originali. Questa tela raffigura il momento in cui Gesù morto viene compianto e unto con olii profumati, prima di essere sepolto. Il suo corpo non è più frontale ma è seduto in tralice sul sarcofago, mentre un inserviente lo tiene da dietro. Nicodemo regge l’ampolla degli unguenti e la Maddalena, inginocchiata davanti al Figlio di Dio, gli improfuma una mano. L’intreccio fra le mani della donna e quelle del Cristo esprime un senso di comunione sacramentale, fungendo da punto focale su cui l’osservatore getta subito l’occhio. Grazie ad un preciso gioco di luce tersa, di chiari e scuri, lo sguardo si muove dal basso delle gambe fino alla ferita del costato. Lo sfondo azzurro è indice dell’interesse che il pittore nutre per la natura. Il Compianto è un capolavoro che travalica la dimensione storica, sollecitando la sensibilità umana dinnanzi all’episodio della morte, del dolore e della pietà. Il senso del dramma si avverte dai volti corrucciati e composti delle figure, che osservano un religioso silenzio. L’altra opera esposta è il “Cristo morto sorretto da angeli” di Giovanni Antonio Bazzi detto il Sodoma, data in prestito dalla Venerabile Arciconfraternita di Santa Maria dell’Orto a Roma.

Nato a Vercelli nel 1477 e morto a Siena nel 1549, si forma alla scuola di Martino Spanzotti, artista complesso e arcaicizzante, ma recepisce subito la lezione di Leonardo Da Vinci e, un po’ più tardi, di Raffaello che innesta nella tradizione lombarda. Trasferitosi in Toscana esegue gli affreschi del monastero di Sant’Anna in Camprena (Siena), completa le “Storie di San Benedetto” e, giunto a Roma, si occupa delle pitture per il soffitto della “Stanza della Segnatura” in Vaticano e di numerose pale d’altare. Tra gli artisti più fervidi del Rinascimento, nonché esponente controverso del Manierismo toscano, Bazzi è noto non solo per il suo talento ma anche per la sua sregolatezza sul piano dei rapporti sessuali (per questo è chiamato “Sodoma”), sfidando la morale cattolica del tempo. Quest’artista bizzarro e licenzioso – come il Vasari lo definisce nelle sue Vite – ama la cultura classica, appresa mediante la frequentazione dell’ambiente romano, e reimpiega ciò che assimila dagli altri, come il vago sfumato tipicamente leonardesco. Negli anni il suo stile diventa un misto tra elementi classicheggianti di derivazione romana e un linguaggio più disinvolto, popolare e provinciale, in grado anche di stemperare la drammaticità delle scene. Il manierismo sperimentale della sua produzione più adulta è segnato da una componente personale, dalla descrizione delle emozioni e della psiche dei personaggi, e dall’introduzione degli effetti di luce e di ombra che aggiungono pathos alle scene. Dipinto intorno al 1505, il Cristo morto sorretto da angeli risale alla prima fase della produzione di Bazzi. Sottoposta a restauro, questa tela mostra quattro angeli che sorreggono il corpo del Cristo morto e rivelano una grande forza espressiva. La scena si configura come un vero e proprio dialogo con il sacro, reso con una certa eleganza, con gesti delicati, con una perfetta alternanza di colori chiari e vivaci, e con una valorizzazione delle espressioni e dei sentimenti delle figure, tanto eccelsa da scuotere il pubblico intento a meditare sul concetto di dolore umano. Il Sodoma prende a modello la Crocifissione su bronzo di Galeazzo Mondella (Il Moderno), realizzata a Milano nel 1500, dimostrando la conoscenza da parte sua della cultura artistica padana e leonardesca. “Si tratta di un confronto iconografico e spirituale che va oltre il tempo e lo stile“, ha riferito Barbara Jatta, Direttore dei Musei Vaticani. “Offrire ai visitatori l’occasione di ammirare due opere così dense di significati teologici e storici nella cornice di Castel Gandolfo è un’opportunità unica per valorizzare l’identità stessa delle collezioni vaticane: fedeltà alla tradizione, apertura alla ricerca“. “Entrambe le opere – aggiunge Fabrizio Biferali – si prestano a una lettura stratificata: da un lato l’approccio narrativo e compassionevole di Bellini, dall’altro la tensione dinamica e la forza vibrante della tavola del Sodoma. Una doppia meditazione visiva sulla Passione, capace di coinvolgere studiosi, fedeli e appassionati“.