Dorothy Day, una povera in mezzo agli ultimi

L’attivista e pacifista americana riscoprì la fede in Dio e incarnò con la sua vita la Parola del Vangelo

Una delle personalità più controverse e interessanti della recente storia della Chiesa cattolica è la Serva di Dio Dorothy Day, di cui è in corso la causa di beatificazione. Nata a New York l’8 novembre 1897 in una famiglia della classe borghese, fu attivista, giornalista, anarchica, pacifista, ragazza madre che scelse di vivere da povera vicino ai poveri. Da giovanissima ebbe contatti con ambienti radicali e socialisti e prese le distanze dal cattolicesimo, al quale era stata educata dai suoi cari. Lavorò per il quotidiano socialista “The Call” e si impegnò in politica, venendo addirittura arrestata nel 1917 a soli 20 anni, per aver partecipato alle proteste a favore del riconoscimento dei diritti di voto alle donne. Maturò l’idea di combattere per la giustizia sociale e per la difesa dei diritti dei lavoratori. La sua prigionia la portò a riavvicinarsi alla fede cristiana, riscoprendo le Sacre Scritture e, in particolare, i Salmi. Dopo l’incarico di infermiera nella prima guerra mondiale, riprese le sue attività di cronista e di scrittrice, forte anche del rinnovato spirito di fede che ormai l’accompagnava. Pur essendo molto vicina agli ambienti del comunismo americano, Dorothy avvertì il bisogno di tendere una mano ai più poveri, ai più bisogni e ai diseredati, in linea con gli insegnamenti del Cristianesimo che aveva riscoperto nella sua vita. Nella sua autobiografia Ho trovato Dio attraverso i suoi poveri (Libreria Editrice Vaticana 2023) narra dei suoi incontri con alcuni esponenti cattolici americani e del suo percorso di crescita spirituale, che l’allontanò dall’ateismo e la fece riavvicinare a Cristo Gesù, in un contesto come quello dell’America dei primi del ‘900 caratterizzato dalla rinascita, da momenti di crisi economica, come la Grande Depressione, dalla rivoluzione tecnologica, dall’affermazione di standard di produzione industriale all’avanguardia, e da forti agitazioni sociali per la rivendicazione dei diritti, in un periodo segnato da fatti storici come quello di Hiroshima, dai missili di Cuba e dalla guerra in Vietnam. L’esistenza di Dorothy fu  contraddistinta, quindi, dalla mescolanza e dall’armonizzazione di più interessi, che spaziavano dall’attivismo all politica, dalla religione alla scrittura e alla cronaca. La sua capacità di fare spazio a Dio, nella sua vita, si comprende da quello che scrisse, dopo tanti anni, al fratello, lavoratore radicale e ateo: “Spesso c’è un elemento mistico nell’amore di un lavoratore radicale verso il fratello, verso il compagno di lavoro. Si allarga alla scena delle sue sofferenze e ne vengono santificati quei luoghi in cui ha sofferto ed è morto. […] Tu conosci questa sensazione come ogni altro radicale del Paese. Forse per ignoranza non riconosci il nome di Cristo, eppure cerchi di amare Cristo nei suoi poveri, nei suoi perseguitati”. In lei la contemplazione delle bellezze naturali, la semplicità dell’esistenza e la gratitudine per Dio si fondono in modo decisivo, insieme ad un bisogno di ringraziare il Padre rivolgendosi a Lui con la preghiera in qualsiasi ora del giorno, stando a casa o anche solo guardando la spiaggia da casa sua. La sua ferma decisione di non scendere mai a compromessi, per quanto riguarda la materia religiosa, convinse Dorothy a lasciare il compagno, l’anarchico Forster Betterham, a cui si era legata nel 1924 a Staten Islan e da cui ebbe una figlia nel 1927, Tamar Teresa. Battezzò quest’ultima e, a sua volta, ricevette il battesimo. Essendo mossa da ideali di giustizia, di uguaglianza e di libertà, la donna non accettò le posizioni del Cristianesimo borghese che, a suo avviso, sottovalutava gran parte del messaggio di Gesù. Scrisse infatti nella sua autobiografia: “La mia critica ai cristiani del passato, e vale ancora per troppi di loro, è che in realtà negano Dio e lo respingono. “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40). Lo ha detto Cristo, e oggi ci sono cristiani che oltraggiano Cristo nel nero, nel povero messicano, nell’italiano, sì, e nell’ebreo”. Una svolta decisiva fu la conoscenza dell’attivista francese cattolico, Peter Maurin, con il quale fondò nel 1933 il giornale “The Catholic Worker”, che divenne mezzo di divulgazione e di riflessione su tematiche molto scottanti, tra cui il malessere per le difficili condizioni lavorative dei poveri cattolici e per i diseredati. I due raccolsero anche l’eredità della Dottrina Sociale della Chiesa, i cui principi e insegnamenti erano stati esposti nell’Enciclica “Rerum Novarum” di Leone XIII nel 1891, autentico documento redatto per affrontare questioni sociali ed economiche a favore della persona e della sua dignità. Nacque quindi il “Movimento Cattolico dei Lavoratori”, che promuoveva l’amore cristiano per i poveri e si basava sugli ideali della non violenza e dell’ospitalità rivolta ai diseredati. Nel 1934 il filosofo Jacques Maritain indirizzò una lettera a Dorothy, dopo aver visitato la casa del Catholic Worker a Manhattan, dicendosi felice e colpito perché certo di aver trovato, nella casa da lei aperta, un “segno di speranza, una preparazione per il futuro che desideriamo ardentemente”. Una casa alla cui base sta la “più umile delle tre virtù teologali perché rimane nascosta”, come aveva detto Bergoglio. Dorothy vedeva la presenza di Cristo nel mondo del lavoro. Scrisse infatti: “Ma Cristo stesso era un lavoratore. San Giuseppe, suo padre adottivo, era un lavoratore. Un uomo che lavora con le mani e con la testa è una persona integrale. È un co-creatore, prende le materie prime fornite da Dio e crea cibo, vestiti, riparo e ogni sorta di cose belle”. Il motto “vivere in accordo con la giustizia e la carità di Gesù Cristo” ha ispirato il movimento dal primo momento, e oggi rappresenta la filosofia di vita delle tante comunità che sono nate nel mondo (circa 187). L’impegno a fiano dei lavoratori e dei poveri accompagnò Dorothy fino alla sua morte, avvenuta il 29 novembre 1980 a Manhattan. Di questa Serva di Dio è stato avviato il processo di beatificazione e di canonizzazione per volontà di san Giovanni Paolo II.