Una storia che lascia tracce sulle pareti e nella vita

Il cinema Santa Chiara ha compiuto 100 anni. E’ il più antico cinema della Calabria

Un pezzetto di pellicola da guardare rivolgendolo al cielo. Ventiquattro fotogrammi al secondo. Dietro, la nostra immaginazione. Chissà se i fratelli Lumière hanno mai pensato veramente al potere del cinema come arte per immaginare. Forse sì, forse, no. Eppure in quel pezzetto di celluloide si annida la voracità famelica di rivedere sorrisi sornioni, sguardi, azioni da cardiopalma. Nel cuore del centro storico di Rende, in via ‘R. De Bartolo’ c’è una sala che non è un semplice luogo, ma memoria. Il Cinema Santa Chiara ha spento 100 candeline: “Questo compleanno è stato vissuto col cuore prima di tutto, poi con il ricordo di tutti questi anni passati che hanno lasciato traccia sulle pareti di questo cinema storico. Il tempo si sente nell’aria, è in un certo senso confortante, perché ti fa sentire a casa tua, anche perché il cinema è la casa di tutti, è un’arte importante che ci aiuta a vivere, ci consola”.

A raccontarlo a Parola di Vita è Orazio Garofalo, nipote di Pietro. Il sogno americano nonno Pietro lo ha vissuto. Una breve parentesi i primi nel Novecento in America, poi il ritorno nella ‘sua’ Rende. Proprio qui si materializza un sogno: “Mio nonno aveva intuito la potenzialità del cinema, aveva portato un proiettore a manovella, il Pio Pion, per il cui funzionamento era necessario un l’addetto attento perché la pellicola era altamente infiammabile. Un paio di volte- racconta- si bruciò la sala cinematografica, per fortuna non ci furono conseguenze”. Orazio fa un salto indietro: “Ricordo che, circa 50 anni fa, mio padre dietro lo schermo del cinema trovò tre pizze di pellicola abbandonata chissà da quanto tempo. Una sera noi ragazzi, in occasione della luminera (fuochi di strada), bruciammo queste pizze, si alzò una colonna di fuoco che durò pochi secondi”, fu una brutta marachella. Immaginiamo la Calabria di 100 anni fa, tra quelle vie polverose fatte di vocii, di carrozze in corsa, dell’apparire delle prime auto, nel cinema Santa Chiara affioravano locandine, bobine di pellicola e luci. Tra suoni, manovelle e poltrone si scrive la storia di un luogo che non è stato solo avamposto di cultura, ma anche un pezzo di storia per la comunità: “È come se fosse atterrato il mondo a Rende, perché il cinema ti fa vedere posti lontani, è un innesto fra la cultura del posto e la cultura del mondo. È stato fondamentale. La gente comune si salutava ripetendo le battute dei film. Durante la seconda guerra mondiale mio padre salì sul treno e andò a Napoli a prendere una pellicola, I masnadieri, che venne proiettato per più di un anno. Tutto il paese parlava di questo film”. Orazio ci restituisce frammenti preziosi della vita di una comunità, la nostra, ma anche i suoi: “Uno dei primi ricordi della mia vita è legato ad un piccolo proiettore giocattolo a manovella. Ricordo che mio padre mi portava la pellicola di risulta dai rimontaggi che faceva, ed io, ancor prima di conoscere la televisione, con le mani proiettavo questi pezzi di pellicola, il mio schermo era un fazzoletto di stoffa, il mio primo sogno ad occhi aperti era vedere queste immagini che si muovevano sul fazzoletto”. Un pezzo di pellicola. Come il piccolo Totò Di Vita di ‘Nuovo cinema paradiso’ quei ‘pezzi’ di plastica sono il motore della fantasia e del desiderio: “I pezzi di pellicola sono stati alla base della mia arte, faccio anche video-arte, è stato l’inizio di tutto. La mia manina che girava la manovella, la molla del meccanismo, la vibrazione prodotta dal meccanismo della manovella era il trait d’union fra il mio corpo e la macchina del cinema”. Quel cinema di periferia ha fatto la storia, è un pezzo di storia. Cento anni e non sentirli. Se non in una promessa, un testamento da consegnare alle future generazioni. Il Santa Chiara è il cinema più antico della Calabria, del Meridione stesso. Quei 150 posti iniziali sono un ricordo: “C’era una tribuna, che poi è stata tolta perché la legge vietava le tribune in legno; già a quei tempi con l’arrivo della televisione la gente rimaneva a casa, quindi i posti si sono ridotti a 100, poi coi lavori di ristrutturazione e con la scelta delle poltrone siamo arrivati a 50 posti”, spiega. Tra alti e bassi ora il Santa Chiara vive un periodo di stasi: “Pensavano che un privato potesse portare avanti la struttura, ma era un pensiero sbagliato, questa sala può essere gestita a livello culturale, vorrei farne una cineteca comunale, ho una collezione di circa 15.000 titoli, si potrebbe dare vita ad una cineteca digitalizzata anche per un uso scientifico, l’Università della Calabria può avere questo punto di riferimento. Ci stiamo muovendo in tal senso”. Portare avanti una tradizione familiare non è cosa da poco. Caso? Destino? Per capire cosa lega Orazio a questo posto bisogna ascoltare la sua storia: “Siamo a cavallo tra le cose casuali e non casuali, i miei fratelli non hanno la follia che ho io per il cinema. Sarà dipeso dal proiettore giocattolo, dal tempo trascorso con mio padre che mi ha trasmesso l’amore per il cinema. Non c’è cosa più bella di montare un video. Provo piacere nel montaggio perché è la base del sogno, è come costruire una casa usando pezzi di pellicola”. Il rischio che la sala potesse piombare nel buio definitivo ha fatto tremare i polsi. Più volte l’happy ending ha rischiato di sciogliersi come neve al sole. A piangere non erano solo la famiglia Garofalo e l’intera comunità.

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A versare lacrime fu anche il regista premio Oscar Giuseppe Tornatore, che aveva un rapporto epistolare con il signor Italo, padre di Orazio. Tornatore ha scritto una lettera molto tenera, “ha capito il cuore di questa sala, ci ha sostenuto pure lui”. La settima arte “è un maestro che sa tutto e riesce a insegnarti tutto con dolcezza e intelligenza. In un film fatto bene non c’è né una parola in più né una parola in meno. Il cinema non può che migliorarci. L’arte cinematografica ha questa magia: basta una sala buia, magari piena di altre persone, e la sala amplifica la tua emozione”. Nel mercato ondivago, tra i capricci delle mode, la visione dei film sul grande schermo continua ad esercitare appeal: “La gente ha capito che se vuole entrare in una storia deve entrare in una sala cinematografica”. Chi varca per la prima volta la soglia del cinema Santa Chiara “rimane incantato perché non si aspetta l’eleganza, poi la sala Santa Chiara ha un’anima che palpita ancora. Sono tutti meravigliati, è come se entrassero in un sogno prima ancora di accendere il proiettore, questa è la sensazione. Poi prima di andare via ringraziano, mi stringono la mano”.

Orazio riavvolge il nastro e ci affida un ricordo caro: “Mio padre mi raccontava che la notte di Pasqua, prima di recarsi in chiesa per la messa della Resurrezione c’era la consuetudine che le persone passavano prima dal Santa Chiara e poi andavano a Messa. C’era così tanta gente che i muri trasudavano, la sala diventava un organismo, era viva”. Per anni la sala è stata il salotto buono della città, il luogo in cui ritrovarsi e sognare. Dal cinema muto alle azioni dei film western. Passando per la bersagliera Gina Lollobrigida e per la ciociara Sofia Loren. Quanta vita è passata in quella sala. Tanta, che in occasione dei suoi primi 50 anni ha meritato la medaglia d’oro dal presidente della Repubblica Giovanni Leone. Non sono mancati gli anni bui in cui il cinema chiuse i battenti. Ma è solo un ricordo. La Pro Loco Rende Centro Storico ha riacceso la fiammella: “Faccio parte della Pro Loco- racconta Orazio-, insieme abbiamo fatto una programmazione che durerà tutto il mese di dicembre”. Manca davvero poco, giusto il tempo di alcune pratiche burocratiche, e il Santa Chiara tornerà di nuovo nelle mani della famiglia Garofalo, da cui tutto è partito. Orazio assumerà le redini del cinema in veste di direttore artistico: “Ho già un’idea: avendo il cinema compiuto cento anni ho pensato ad una rassegna, la chiamerò 100×100, pensata per trasmettere 100 capolavori”. Nuovo anno, nuova vita. Intanto: Buon compleanno, cinema Santa Chiara!