Cultura
Calice di Ain Samiya, probabile testimone del mito della creazione
L’oggetto potrebbe essere collegato alla tema del viaggio del sole e della luna in cielo, tanto caro al Vicino Oriente
Sulla rivista scientifica Journal of the Ancient Eastern Society – Ex Oriente Lux sono stati pubblicati i risultati di un nuovo studio archeologico, condotto sul cosiddetto calice argenteo di Ain Samiya. Il reperto fu rinvenuto dall’archeologo Zeev Yeivin dell’Israel Antiquities Authority nel 1970, dentro una tomba ubicata in una grande necropoli nei pressi di Ramallah, sulle colline della Giudea in Cisgiordania. Si tratta di un prezioso reperto risalente all’età del bronzo intermedio (2500-2000 a.C.), quindi a circa 4000 anni fa, alto poco più di 7,5 cm e ornato da due scene: nella prima è raffigurato un grande serpente che fronteggia una chimera che si erge su un piccolo cerchio simile ad un fiore, nella seconda la serpe è a terra sotto un cerchio grande (una mezzaluna) che ricorda un fiore con un volto sorridente e che, forse, è retto da due figure umane, di cui è visibile solo una per via della rottura del calice. Gli archeologi interpretarono inizialmente le sequenze come un simbolo dell’eterna lotta tra ordine e caos, che gioca un ruolo decisivo nei miti mesopotamici. La presenza sul calice di immagini raffiguranti il tema della creazione dell’universo fece ipotizzare, subito dopo la scoperta, che l’oggetto avesse qualche forma di collegamento con il poema accadico Enūma eliš appartenente alla tradizione babilonese, che esalta la figura di Marduk, la divinità adorata sin dal III millennio a.C. Quest’opera risale al periodo di Nabucodonosor I, re di Babilonia, e tratta del mito della nascita del cosmo. L’ipotesi di un collegamento tra l’oggetto e il testo babilonese, però, fu messa in discussione quando fu appurato che quest’ultimo venne redatto verso il 1200 a.C., circa un millennio dopo la datazione di Ain Samiya. Il nuovo studio avanza un’altra ipotesi. La mezzaluna, estesa fra le due figure antropomorfe rappresentate nella seconda scena, rimanderebbe alla barca del cielo, cioè al viaggio del sole e della luna nella volta celeste, una tematica molto cara alla gente del Vicino Oriente. La tesi è stata avanzata da Eberhard Zangger, presidente della Luwian Studies Foundation, che lavorando sui rilievi del celebre santuario rupestre di Yazılıkaya, in Anatolia, ha notato il ripetersi della leggenda della barca celeste che chiama in causa il complesso di teorie noto come “cosmogenetica”, elaborato per dar conto dell’origine dell’universo. L’esperto ha specificato che la figura ibrida del calice simboleggerebbe il caos primordiale, mentre l’altra scena mostrerebbe il sorgere del cosmo ordinato e protetto dall’altra divinità. Quest’ipotesi, tutta da confermare e già osteggiata da più parti, sarebbe sostenuta dal fatto che analoghe raffigurazioni sono riscontrabili nell’arte ittita e in sigilli cilindrici dell’epoca bronzea, oltre al fatto che nei miti sumerici, nelle epopee ugaritiche e nei testi biblici più tardivi ci sarebbero tracce delle concezioni cosmologiche del Medio Oriente antico. Molto probabilmente il calice venne realizzato in Siria settentrionale da un artigiano, vicino alla cultura accadica dedita alla lavorazione del bronzo. Se l’ipotesi sarà confermata, allora il calice di Ain Samiya sarebbe uno dei più antichi testimoni del tema della creazione dell’universo ordinato a partire dal caos. Non si sa, tuttavia, quale potesse essere il suo uso: un segno rituale di passaggio dell’anima nel mondo dell’oltretomba? Oppure un dono funerario? O un oggetto di lusso? È tutto da chiarire.
