Cultura
Marra e la fotografia come opera sociale
Il sangiovannese aveva una visione antropologica della morte come ponte tra vivi e defunti
Un tuffo nella storia calabrese ci porta a San Giovanni in Fiore, dove il 10 settembre 1894 nacque Saverio Marra, un fotografo libero, estroverso, curioso, anticonformista e antifascista. È rimasto vivo nella memoria collettiva per aver immortalato, grazie ai suoi preziosi scatti, la situazione sociale, politica, economica e culturale della cittadina silana a cavallo tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento e, in generale, per aver acceso i riflettori su un Mezzogiorno silente e arretrato. Primogenito di cinque figli, Saverio aveva umili origini legate alla cultura contadina. Autodidatta, lavorò come fattore, artigiano, apicoltore, carpentiere e venditore di radio e di motociclette, prima di appassionarsi all’arte della fotografia. Attraverso le immagini scattate con la sua fotocamera, narrò la condizione dei feriti, le operazioni militari e gli interventi chirurgici in ospedale durante il primo conflitto mondiale. Questo “tirocinio” gli servì per curare la “storia fotografica” della Calabria degli inizi del XX secolo, con un’attenzione particolare per la zona silana che conosceva bene. Alla fine della grande guerra trovò impiego presso l’azienda agricola dei baroni Barraco, latifondisti napoletani. Con i soldi guadagnati acquistò una macchina fotografica professionale: una Zeiss tedesca con soffietto allungabile e treppiede. Decise di mettersi in proprio, aprendo una bottega di carpentiere a San Giovanni in Fiore, insieme ad una sala per fare foto. Dopo il matrimonio con Maria Piccolo nel 1920, da cui ebbe tre figli, relegò in secondo piano le mansioni di carpentiere e di meccanico, concentrandosi su quella di fotografo da cui ottenne buoni profitti. Si abbonò alla rivista “Il Progresso Fotografico” e, aggiornandosi tramite altre pubblicazioni, cercò di perfezionare le tecniche di ripresa e di stampa acquistando mezzi più sofisticati. Smise di lavorare intorno al 1950 e morì a San Giovanni in Fiore il 17 ottobre 1978. Produsse un corpus documentario ingente, costituito da circa 2500 foto di marca “Cappelli” e da pellicole di celluloide. Un tesoro dal grande valore artistico e antropologico, un esempio di “fotografia sociale” in bianco e nero rivolta al quotidiano e interamente protesa a catturare l’esistenza degli umili. Saverio realizzava fototessere per il passaporto degli emigrati, ritraeva i paesaggi silani e i territori del Marchesato crotonese, e catturava momenti di vita quotidiana come i matrimoni, le fiere e le feste patronali. Il corpus contiene anche “foto post mortem” attraverso cui l’artista comunica l’idea di morte, intesa come un evento normale nella vita dell’essere umano. Nei suoi scatti i defunti, periti per la malaria silana o per il lavoro nei boschi, sono agghindati a festa e sono raffigurati a fianco dei loro parenti in posizione verticale, per via degli obbiettivi poco duttili dei mezzi usati in quel periodo di tempo. In questo modo viene accentuata una certa dimensione antropologica, che conferisce l’idea che il morto sia sempre presente tra i suoi cari. Il lavoro compiuto da Saverio presenta il rito funebre come un vero e proprio rito collettivo, che tiene in vita la memoria di chi non c’è più. L’antropologo Francesco Faeta, che ha studiato il corpus documentale insieme a Donato e a Pietro Mario Marra, rispettivamente figlio e nipote di Saverio, parla di queste foto come di “immagini del mondo popolare silano” nelle quali rivivono i sentimenti. La “lastroteca Marra” è un materiale prezioso che oggi appartiene al “Museo demologico dell’economia, del lavoro e della storia sociale silana” sito a San Giovanni in Fiore dentro l’Abbazia florense.
