Costanzo e la visita ai sacri limini

Il monsignore esaltò nella sua relazione la città di Cosenza definendola metropoli delle due Calabrie

Sergio Chiatto

Il conclave che avrebbe dovuto eleggere il successore di Innocenzo IX, che sul soglio pontificio era rimasto solo due mesi ma non per questo inutilmente per il rimpianto che sembra avere lasciato, aveva disatteso, com’è quasi sempre accaduto, ogni previsione. All’iniziale solida candidatura del cardinale Santorio, preferito dal Re di Spagna in quanto suo zelante sostenitore ed anima dell’inquisizione, nonché osteggiatore della Francia (il che probabilmente era ciò che contava più di tutto) col pretesto che d’Oltralpe dilagassero gli eretici, era stata opposta infatti quella del fiorentino cardinale Aldobrandini. Su costui, benché inviso alla potente famiglia dei Medici e alla stessa Spagna, che per tre volte in altrettanti conclavi ne aveva avversato l’affermazione, erano confluiti alfine i voti necessari alla sua elezione avvenuta il 30 giugno 1592, ivi compresi quelli dei cardinali spagnoli. Questo Papa, che assunse il nome di Clemente VIII, tenne la cattedra di Pietro per tredici anni, distinguendosi per uno spiccato equilibrio nel governo della chiesa universale, oltre che per la inflessibile applicazione dei dettami del Concilio di Trento. Proverbiali al riguardo rimasero le esecuzioni da lui disposte, a pochi mesi l’una dall’altra, della giovane parricida Beatrice Cenci e di Giordano Bruno, accusato di eresia e messo al rogo, parimenti alla protezione accordata al grande poeta del tempo, Torquato Tasso, che precedette i due nella tomba ed il cui noto tormento venne letto anch’esso come “un indizio della rinascita cattolica integrale”. Sotto il pontificato di Clemente VIII si tenne il giubileo del 1600, rimasto fra i più “memorabili” ed alla cui organizzazione aveva atteso personalmente, premurandosi di proibire i giochi ed ogni manifestazione che avesse del carnevalesco. Folle di pellegrini si riversarono su Roma e non mancò chi lo volle fare con particolare sfarzo, come il viceré di Napoli, don Ferrante De Castro, del quale si è scritto che portò l’omaggio in Vaticano “con una splendida cavalcata di 800 cavalli tutti coperti e accompagnato da quaranta tra vescovi e prelati”. Non meno suggestivi pare fossero gli spettacoli animati dai visitatori di più basso rango, che a Roma affluivano mestamente “con croci e stendardi” e vestiti degli abiti propri delle rispettive associazioni laiche, coerentemente con le numerose rappresentazioni della passione e morte di Gesù cui si dava vita per le strade e al cospetto delle chiese dell’Urbe. L’anno giubilare del 1600 coincise con l’obbligo della visita del nostro Arcivescovo ai Sacri Limini Apostolici, una pratica che affondava le origini nel Medioevo ma che il Concilio di Trento aveva stabilito si tenesse con cadenza triennale. Reggeva la chiesa cosentina dal 1591 mons. Costanzo, magnificato dallo storico P. Francesco Russo nella sua monumentale opera sull’Arcidiocesi bruzia reputandolo l’artefice di un sensibile progresso “sotto tutte le direzioni”. Anche come letterato, avendo contribuito a riportare l’Accademia Cosentina ai primitivi fasti e, per questo motivo, (temporaneamente) rinominata “Accademia dei Costanti”. La sua relazione predisposta per la visita ai sacri limini apostolici, avvenuta in ottobre (R.V.25598), è ricca di interessanti notizie, qui riportate in parte minima per carenza di spazio. Egli, dopo aver magnificato la nostra città definendola “metropoli delle due Calabrie”, superando “tutte le altre per nobiltà, ricchezza e antichità”, ne ribadì la vetustà anche in merito alla fede cristiana in essa radicata. Ciononostante, però, all’Arcidiocesi cosentina era attribuito il solo vescovo “suffraganeo” di Martirano, essendole stati tolti (e di tanto il Costanzo si dolse esplicitamente) quelli di Cassano, di Bisignano e di San Marco, i quali, con la presumibile sua magra consolazione, erano comunque titolati ad accedere al “concilio provinciale”. Va chiarito che nella circostanza il nostro Arcivescovo non si portò personalmente a Roma. Lo rappresentò il sacerdote genovese don Giovanni Andrea Ceva, parroco pro tempore di Lago, giunto in Calabria per curare gli interessi del cardinale Domenico Pinello e suo delegato alla riscossione dei censi da questi goduti, quale abate commendatario del monastero di San Benedetto Ullano in diocesi di Bisignano come da me accertato, e perciò figura di spicco in diocesi, anche per le sue frequentazioni romane. Mons. Costanzo, suo tramite, diede conto di un centinaio fra paesi e villaggi nel territorio diocesano ove fervente si segnalava la fede e la pratica cristiana, non meno che nelle numerose confraternite di laici devoti ivi erette. In particolare, evidenziò come in passato vi si fossero particolarmente distinti, per dottrina e santità, san Francesco di Paola, Gioacchino, profeta e abate florense, e il beato Francesco da Zumpano, agostiniano. Detto della chiesa cattedrale,  della sua consacrazione e delle numerose reliquie di santi in essa custodite, l’illustre relatore indugiò particolarmente nel descrivere lo stato del clero diocesano, delle sue prerogative, dei conventi e monasteri, maschili e femminili, e dei luoghi pii, ove era praticata la cristiana pietà ad opera di persone, laiche ed ecclesiastiche di santa vita, sulle quali tuttavia assicurava di porre costantemente la sua attenta vigilanza agendo inflessibilmente (il che, ove ve fosse stato bisogno, ci è confermato dalla ben nota cronaca seicentesca del Frugali). Egli poi non mancò naturalmente di far menzione del seminario dovuto al suo immediato predecessore, e dei favori personalmente accordati ai PP. Gesuiti, informando del trasferimento “in città”, da qualche anno a quella parte, del monastero di Santa Chiara, al quale aveva rivolto particolare cura ed attenzione. A dimostrazione di come profondesse un particolare zelo in ogni sua azione pastorale, ivi compresa quella, pure segnalata dal Russo, della “persecuzione degli eretici”, con lo scopo dichiarato ed il conseguito esito a quanto pare di “purgare” la governata circoscrizione ecclesiastica. Sul punto, la relazione di mons. Costanzo suscita grande interesse, offrendo conferme e spunti di riflessione. Poiché, pur assumendo che le popolazioni di Guardia e di San Sisto (egli aveva certamente contezza dell’accanimento del Sant’Uffizio su quelle popolazioni e delle raccapriccianti stragi del 1561) vivessero “cristianamente come un tempo”, ciononostante, dichiarò che aveva forte il sospetto che tanto fosse frutto di “simulazione” e che di tale eventualità aveva già resa edotta la “Sacra Congregazione Generale dell’Inquisizione”, avanzando egli stesso suoi personali consigli sui provvedimenti da adottare (che   sarebbero stati posti in essere “con l’approvazione ed il consenso del Principe di Fuscaldo fratello [suo] grande cultore di cristiana pietà”).