Cultura
I testi classici come antidoto alla Cancel culture e nutrimento per lo spirito
Molti volumi latini e greci sono sopravvissuti a tante vicissitudini e storie rocambolesche e meritano di essere tramandati
Uno dei volti più temibili della “Cancel Culture” o “Cultura della cancellazione” è l’abbandono dello studio dei classici greci e latini, perché sembra che non rispecchino i principi etici più comuni al mondo d’oggi. C’è questa tendenza, non poco allarmante, di voler riscrivere il passato e la storia a proprio piacimento. La civiltà occidentale si è costruita una pedagogia fatta di archetipi, di grandi uomini e di grandi testi, nei confronti dei quali l’atteggiamento da assumere deve essere a dir poco reverenziale (si pensi all’ossequio di Dante verso Aristotele e Virgilio). Il pensiero critico non ha soffocato del tutto quest’atteggiamento, ma è anche vero che molti non possiedono le competenze necessarie per capire l’apporto che i grandi del passato hanno offerto, e senza cui non riusciamo a capire come funziona il mondo. Esiste, quindi, una preoccupante forma di immaturità e di ingenuità che non consente di essere consapevoli dei motivi per cui si studiano determinati argomenti. Si fa avanti l’attitudine a disprezzare le culture antiche perché portatrici di valori desueti, assolutamente anacronistici rispetto a quelle che sono le esigenze contemporanee. Molti atenei, specialmente americani, hanno rimosso lo studio dei classici perché, specie in alcuni passaggi fondamentali, sembrerebbero offensivi della sensibilità odierna. La Cancel culture, di conseguenza, cerca di riempire questi vuoti contenutistici con idee postmoderne e con nuove forme di identitarismo, diffuse anche mediante i social. A differenza di altri Paesi, l’Italia sembra possedere maggiori anticorpi contro queste derive. Lo prova, ad esempio, il fatto che in occasione dei 700 anni dalla morte di Dante Alighieri nel 2021, i festeggiamenti per onorare il padre della lingua italiana e la Divina Commedia non siano stati toccati (o quasi) da polemiche di natura politica o ideologica. Al contrario, in una nuova edizione uscita in Belgio e nei Paesi Bassi, veniva censurata la parte in cui Maometto è raffigurato all’Inferno, per non offendere i musulmani. Il fatto che nel nostro Paese quest’inclinazione sia molto meno diffusa che altrove, non significa che non possa esserci un suo avvento in futuro. Per reagire affinché ciò non avvenga, il primo punto da cui partire deve essere l’istruzione primaria e secondaria, dove i giovani devono riscoprire i valori identitari per tornare ad essere orgogliosi delle loro radici, attraverso lo studio della storia, della filosofia, dell’arte e della letteratura. Ricordiamo, ad esempio, che niente era più importante del concetto di “libertà” per i romani (humanitas ed aequitas sono infatti prodotti del loro ingegno), e che dal Mare Nostrum è nata la nostra bella civiltà, che ha raccolto sia l’eredità greca che quella latina. Se prendiamo l’Iliade di Omero ci rendiamo conto della forza implicita dei versi, derivata al poeta dalla fede nel mondo ultraterreno che, nelle vicende da lui descritte, fa da sfondo a quello terreno. Lo scrittore ci ha lasciato un meraviglioso capolavoro, i cui contenuti descrivono la nostra contemporaneità fatta di guerre, di catastrofi naturali, di brama di potere, di pietà e di accoglienza. Hannah Arendt parla degli eroi omerici come di coloro che incarnano meglio le virtù, ma sarà poi il cristianesimo a consolare dalle ferite e darà speranza agli ammalati e alle vittime di guerra. Nel nuovo libro intitolato Avventure e disavventure dei classici (Carocci 2025) il filologo Tommaso Braccini ricorda che i classici sono oggi a nostra disposizione con un semplice click, ma sottovalutiamo che ognuno di essi abbia dovuto superare tante vicissitudini passate, sopravvivendo a eventi dolosi come incendi o avvenimenti rocamboleschi. Pensiamo all’Ilias picta o Codice Ambrosiano, l’unico manoscritto tardoantico illustrato dell’Iliade giunto fino a noi, scritto interamente in greco maiuscolo, senza punteggiatura né accenti. Realizzato verso il 500 d.C. forse ad Alessandria d’Egitto o a Costantinopoli, ne restano oggi solo 58 miniature dipinte a tempera gialla e ocra, raffiguranti scene di battaglie o eroi omerici. Nel XII secolo questo testo giunse prima in Sicilia e poi a Reggio Calabria, dove un gruppo di bizantini calabresi ritagliò e incollò alcune miniature su un nuovo codice didattico, trascritto in minuscolo, contenente parti del poema omerico accompagnate da spiegazioni, creando un “album figurato” medievale. In questo modo stravolse il codice originale 500esco, nel quale era presente la versione completa dell’Iliade, ma ne assicurò la conservazione. Questo libretto colorato sopravvisse anche ad un naufragio vicino ad Ancona, poi giunse a Napoli nella biblioteca di Cosmo Pinelli, quindi fu acquistato per oltre 3000 scudi d’oro da Federico Borromeo nel ‘600, subì un grave danno nel 1811 quando Angelo Mai vi applicò dei solventi per far risaltare di più il testo sottostante, e oggi si trova nella biblioteca Ambrosiana. Braccini cita i casi singolari di altre opere greco-latine tra cui l’Inno a Demetra, copiato nel ‘400 dal religioso bizantino Giovanni Eugenico, finito poi a Mosca e in seguito a Leida in Olanda, le commedie di Plauto che giunsero a Bobbio nel Piacentino riuscendo a salvarsi dalla distruzione, o l’Asino d’oro di Apuleio che finì a Montecassino, dove i monaci si diedero alla ricopiatura dei testi ritenendo che gli originali avessero un contenuto scabroso. “Proprio le vicende travagliate dei classici ci devono far riflettere sulla necessità di salvaguardarli, proteggerli e assicurarsi che anche chi verrà dopo di noi possa godere della straordinaria opportunità di confrontarsi con gli “antiqui huomini” (per dirla con Machiavelli) che hanno ancora tanto da dire”, scrive Braccini. L’unico modo per salvare la vita ai capolavori del passato è amarli, farli sopravvivere, leggerli e tramandarli. La presunta “inutilità” dei saperi umanistici – parafrasando Nuccio Ordine, autore del saggio “L’Utilità dell’Inutile” (Bompiani 2013) – cela in realtà quell’utilità di cui l’attuale società consumistica non può fare a meno, e che si spiega nella forte carica emotiva di cui è investito l’universo letterario, che ha un “ruolo fondamentale nella coltivazione dello spirito e nella crescita civile e culturale dell’umanità”.
