San Francesco, un uomo tribolato e consolato: il racconto di una mostra al meeting di Rimini

L’esposizione, curata dai Frati Minori di Assisi, ripercorre la vicenda biografica e spirituale del Santo, lontano dalle interpretazioni politiche. Un viaggio nella “conversione del gusto” di un giovane che sognava di essere cavaliere e ha finito per abbracciare i lebbrosi.

“Io, frate Francesco. 800 anni di una grande avventura” è stata una mostra allo scorso Meeting di Rimini, promossa da Comunione e Liberazione sul testamento di San Francesco di Assisi. Una mostra che ha cercato di presentare la figura del Santo assisano senza le letture politiche che spesso si danno su di lui, nell’imminenza dell’800esimo anniversario del suo Transito.

La mostra aiuta a capire chi fosse Francesco. Vissuto tra il 1180 e il 1226. Alcuni dati anagrafici salienti. Era figlio di Pietro di Bernardone, ricco mercante di stoffe. Questo padre aveva delle aspettative sul figlio e il figlio stesso ne aveva tante su di se. Il suo sogno era quello di diventare un cavaliere.

La mostra, curata dai Frati Minori di Santa Maria degli Angeli di Assisi (luogo dove si trova la Porziuncola, dove Francesco comprese la sua vocazione e vi morì) e dalla Madre Superiora delle clarisse di Gubbio, si presenta come il cammino di vocazione dentro il quale San Francesco comprende quali passi segnare nella sua vita. I Frati hanno precisato che occorre ricordare che Francesco fu un uomo tribolato fino agli ultimi istanti di vita. Un uomo tribolato, ma allo stesso tempo consolato.

Due chiavi per comprendere la mostra e la vita di Francesco sono due rapporti: il primo con un materiale particolare, cioè la stoffa, e quello tra il suo padre “biologico” e quell’altro Padre che il giovane Francesco iniziava a seguire. Nel primo caso, la stoffa è indicativa dell’essere figlio del mercante di stoffe pregiate, abiti che lui stesso abbandonerà pubblicamente ad Assisi per indossarne altri più miseri e grezzi cioè il saio. Il secondo caso, riguarda quale padre Francesco vorrà seguire e soddisfare.

Ogni pannello della mostra aveva una presentazione estremamente semplice. Vi sono dei piccoli estratti dal testamento di San Francesco e di altri testi come le lettere. Questi testi sono preceduti da alcuni titoletti che ne esemplificano il significato. Al fianco del testo sono presenti delle opere di Sidival Fila, un frate dell’ordine dei minori originario del Brasile ma da tempo a Roma. Le sue opere usano le stoffe e altri materiali tipo tessuti scartati o non più utilizzabili per le sue composizioni artistiche. Come a ridare dignità a questi pezzi non più apparentemente utili.

La mostra si apre con la preghiera davanti al Crocifisso di San Damiano, con la quale San Francesco si ritrova a pregare e chiedere a Dio di “illuminare le tenebre dello core mio”. La preghiera risale al suo incontro nella chiesetta di San Damiano allora diroccata dove, secondo le fonti, il Signore parlò a Francesco dicendogli di “venire a riparare la mia casa”. In quel periodo Francesco era in una condizione che oggi comunemente viene detta di crisi, di difficoltà a comprendere la propria vocazione. Aveva appena terminato la sua esperienza da soldato dell’esercito di Assisi nella guerra persa contro Perugia (1202) in cui cadde prigioniero nella battaglia decisiva di Collestrada. Resterà in prigione un anno, poi farà ritorno ad Assisi a trattative concluse tra le due città.

Questo ci ricorda che San Francesco è stato prima soldato. Tornato ad Assisi e, un giorno, camminando senza metà qualcosa lo attrae in quel posto nel quale chiede al Signore di illuminare le tenebre del suo cuore, cioè che non comprende oppure, come hanno attualizzato i frati, per esempio le volte in cui ci si ritrova in un vicolo cieco dopo un fallimento, quando siamo incastrati in qualche situazione. Ecco in situazioni del genere, di ferite e limiti, Francesco sa a chi portare questi pesi affinché vengano illuminati.

Altro di rilevante dalla mostra è la spiegazione della conversione di Francesco e i caratteri fondamentali del suo carisma. La conversione, però, è da intenderla non nel senso che prima non credeva e dopo un certo punto crede. Come lui stesso scrive nel testamento: “Il Signore dette a me, frate Francesco, di incominciare a fare penitenza così:

quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi, e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da loro, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di animo e di corpo.

E in seguito, stetti un poco e uscii dal secolo”. E’ una conversione del gusto, cioè un modo nuovo di stare alla realtà. Esemplificativo che questa consapevolezza nasca da un incontro, un incontro con qualcuno che Francesco faceva fatica a vedere e a starci insieme: il lebbroso, ovvero colui che era ai margini della società, che viveva al di fuori delle mura della città. Accettando quell’incontro, che (al pari dell’episodio di San Damiano) gli capita davanti, cioè non è lui che andò a cercarlo, come dice, il primo biografo, Tommaso da Celano Francesco smise di adorare se stesso e a sgonfiare il proprio io. Ricordiamoci l’aspettativa di Francesco di essere un grande cavaliere.

Questo percorso non è, tuttavia, breve, lineare. In altri termini più immediati, “Francesco non capisce tutto e subito”. Inizia per certi versi un cammino. E in questo due sono, possiamo dire, gli strumenti che aiutano nel cammino: l’Eucaristia e l’ascolto della parola di Dio. Nel primo caso, il Signore si presenta a noi oggi in prima istanza attraverso l’oggetto fragilissimo del pane eucaristico. Per questo Francesco impartirà ai suoi confratelli di avere un enorme rispetto per i sacerdoti, anche quelli più peccatori, perché amministravano i sacramenti. Nel secondo caso, Francesco vorrà ascoltare “le fragranti parole del mio Signore”. Usa l’aggettivo “fragranti”, sempre per restare nella scia della conversione del gusto, o di un diverso modo di stare nel mondo. Le parole del Vangelo sono tali come dei “pani profumati” (dicono i Frati) che ci nutrono e ci guidano. Su questo punto l’invito dei Frati è stato quello di capire quali parole e voci decidiamo di fare entrare nella vostra vita.

Infine, la mostra spiega come Francesco è arrivato a comprendere definitivamente come vivere il messaggio cristiano e i temi della povertà e della misericordia.

Nel testamento lui scrive che “dopo che il Signore mi dette dei fratelli” lo stesso Dio gli “rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo”. I Frati lo hanno sottolineato, Francesco arriva a questa consapevolezza piena nel momento in cui si trova in relazione con qualcuno. Tornando brevemente al dato biografico. Prima dell’incontro di San Damiano e dopo il ritorno da Perugia, Francesco continuava a pensare che forse la sua strada era quella del cavaliere. Ed è per questo che, a seguito di un sogno in cui vede armature, una fortezza con all’interno una fanciulla, decide di arruolarsi nella spedizione dell’assisano Gualtiero di Brienne. Tuttavia, arrivati a Spoleto ha una visione misteriosa che lo invita a tornare ad Assisi. Francesco si separa bruscamente dal padre, abbraccia la via della povertà, inizia a restaurare la chiesa di San Damiano con le sue stesse mani. Dopo due anni di solitudine, accade che la sua vita attrae due suoi vecchi amici, Pietro Cattani e Bernardo di Quintavalle che decidono di vivere con lui. “Il confronto con l’altro – si legge nel catalogo della mostra – rivela le fragilità personali e chiama alla conversione. La sfida è sempre la stessa: passare dall’io al noi”.

La povertà è forse l’aspetto maggiormente risaputo del carisma francescano. Tuttavia, i Frati hanno invitato a riflettere sul significato più profondo della rinuncia al possesso delle cose. Infatti, è il rifiuto del possesso la radice del concetto sulla povertà. Francesco “si libera dalla logica del possesso per abbracciare la povertà evangelica”, il che “non significa disprezzo delle cose materiali, ma rinuncia alla proprietà e quindi al potere”. Perché quante volte il possesso sulle cose allontana gli uomini invece di avvicinarli?

Su questa scia è il modo con cui Francesco invita a stare “stranieri e pellegrini in questo mondo”, cioè proiettati all’aldilà ma con criteri nuovi nella vita dell’aldiquà. E questo implica che nel peregrinare occorre portare il necessario, se la meta è chiara.

La mostra non ha mancato di sottolineare le difficoltà che Francesco ha dovuto affrontare con i frati della “seconda generazione”. Se era un fatto notevole che ricchi possidenti, docenti della Sorbone, decisero di seguire questa proposta, allo stesso tempo divenne complicato darsi delle regole chiare e rispettarle. Quando Francesco si trovava in Egitto (1219) dove incontrò il sultano Malil al-Kamil, dovette rientrare di corsa in Italia per risolvere le tensioni interne ai confratelli. E quindi l’iter tutt’altro che scontato per addivenire ad una regola (1223). Di questo periodo è centrale il fatto che Francesco resterà sempre saldo in quel che credeva, anche in quella circostanza dove molti avevano da ridire sulla condotta di vita, perché voleva “piacere solo al Signore” e non compiacere più gli altri e se stessi.

Misericordia. E’ forse l’apice del messaggio che ci lascia San Francesco. All’ultimo pannello è presente un estratto di una lettera a un Ministro, il quale chiede al Poverello di essere trasferito presso un eremo per le discordie vissute con i suoi frati. La risposta di Francesco è un invito a restare in quella circostanza, ad ascoltare e correggere ma “che non ci sia mai alcun frate al mondo, che abbia peccato quanto poteva peccare, il quale, dopo aver visto i tuoi occhi, se ne torni via senza il tuo perdono misericordioso, se egli lo chiede; e se non chiedesse misericordia, chiedi tu a lui se vuole misericordia.

E se, in seguito, mille volte peccasse davanti ai tuoi occhi,

amalo più di me per questo: che tu possa attirarlo al Signore;

e abbi sempre misericordia di tali fratelli”.

Infine, la mostra si conclude con la visione del ritratto del Santo ad opera di Cimabue, contenuto al Museo della Porziuncola di Assisi, ma per l’occasione esposto al Meeting e con una sala dedicata a Santa Chiara. Santa Chiara ebbe un ruolo fondamentale nell’ereditare e mantenere vivo il carisma francescano in un momento tutt’altro che sereno per la tenuta dell’ordine a seguito della morte di San Francesco (Chiara visse per altri trent’anni).

In conclusione, avvicinarsi di nuovo alla figura di San Francesco è sicuramente qualcosa che contribuisce ad avere un criterio per giudicare la realtà che ci si presenta sotto ai nostri occhi. Capire quale voce ci “nutre” nel profondo, che non ci confonde e ci fa cercare il vero in ogni cosa. E come possiamo stare nelle relazioni e in rapporto con le cose.

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Per approfondire è consigliata la visione del film “Francesco” di Liliana Cavani, disponibile su Rai Play. Inoltre, in libreria si può acquistare il catalogo della mostra “Io, frate Francesco. 800 anni di una grande avventura”. Le citazioni usate in questo articolo sono state integralmente prese da questa pubblicazione scritta a più mani (tra gli altri: il Patriarca di Gerusalemme Pizzaballa, il Ministro Generale dell’Ordine dei Frati Minori Fusanelli, il direttore della Mostra frate Piloni, la Madre Superiora di Gubbio Suor Mondonico ecc.). Il libro è  edito da Edizioni Porziuncola, Assisi, 2025, 12 euro. La presente Mostra è pensata per essere itinerante, al seguente link potete controllare gli appuntamento per vederla: https://www.meetingrimini.org/mostra-itinerante/io-frate-francesco/

Foto: Meeting di Rimini