Il futuro della catechesi tra intelligenza artificiale, sinodalità e costruzione di comunità credibili

All’incontro nazionale degli Uffici catechistici diocesani, a Roma, emerge la necessità di un cambio di paradigma nella catechesi e nel Cammino sinodale. Relazioni, ascolto, presenza viva e comunità autentiche al centro del dibattito. La sinodalità non è uno strumento, ma la natura stessa della Chiesa che cammina insieme

La catechesi e il Cammino sinodale della Chiesa non possono più essere considerati una mera trasmissione di nozioni o un insieme di eventi ben organizzati. Questi alcuni dei punti emersi nelle riflessioni scaturite durante l’incontro nazionale dei direttori degli Uffici catechistici diocesani (Ucd) e dei membri delle equipe diocesane, in corso a Roma dal 28 al 30 settembre. All’evento, intitolato “Edificati dalla comunità”, è emersa una nuova prospettiva: l’importanza di un cambio di paradigma che sposti il focus dall’azione della Chiesa al suo ruolo di “amico dello sposo”, umile e attento. “Se sapessimo come trasmettere la fede con un metodo certo non sarebbe più fede ma una manipolazione mentale, un condizionamento che non ha nulla a che fare con ciò che Dio vuole da noi”, ha osservato padre Adrien Candiard, esperto di Islam e membro dell’Institut dominicain d’études orientales (Ideo), nel suo intervento che ha aperto la seconda giornata dell’evento.

La fede non è un pacchetto di contenuti da consegnare, ma una relazione da vivere

come ha sottolineato padre Candiard che infatti ha suggerito ai tanti riuniti in plenaria di andare incontro alle persone, di “saper ascoltare ciò che Dio vuole dirci attraverso loro, perché parla a loro e a noi attraverso loro”. Non si tratta di riempire un vuoto, come ha evidenziato l’esperto, ma di riconoscere una presenza, di affiancare un cammino già in atto. La stessa logica si applica anche all’evangelizzazione. La paura di agire “fuori”, dove Dio non è ancora conosciuto, è superata dalla consapevolezza che il nostro ruolo è quello di essere ministri, non protagonisti. Nel suo intervento, padre Candiard ha citato pure la conversione, grazie all’incontro di Pietro, del centurione romano Cornelio, narrato negli Atti degli Apostoli, in cui si riconosce un paradigma:“La Chiesa è costretta ad alzare la testa dai suoi dibattiti interni, dai conflitti, vecchi di diversi decenni, per occuparsi delle persone che arrivano come Cornelio, che ci fanno uscire dai nostri dibattiti sulla legge di Mosè per creare qualcosa di nuovo”.Riguardo alla situazione nel nostro Paese, padre Candiard ha aggiunto: “Non so dove Dio voglia condurre la Chiesa in Italia, so che ha per lei dei progetti straordinari di cui non ne abbiamo idea, tutt’altro che salvaguardare qualcosa del passato che per definizione è passato. E so anche che l’unico modo per mettersi in cammino, per compiere questi progetti, è tendere l’orecchio”.

Un invito a focalizzare gli obiettivi per non perdere occasioni di crescita arriva da don Giorgio Nacci, segretario generale della Facoltà Teologica Pugliese, membro della presidenza del Comitato nazionale del Cammino sinodale della Cei, che durante l’incontro ha parlato delle risonanze raccolte nei diversi Convegni regionali svolti. “In alcune regioni – ha osservato – emergeva la fatica”. A volte, “non riusciamo a mettere a fuoco le questioni centrali per poi farne argomento di riflessione, discernimento e progettazione futura, ma anche, per esempio, la fatica di vivere il momento stesso della verifica. La fatica quindi di atterrare dall’analisi alle proposte”. Continuando ha aggiunto:“Per alcune realtà territoriali, non aver messo a tema del convegno l’obiettivo di arrivare a definire una prassi concreta e magari comune, anche tra le diocesi della stessa regione da scegliere o sperimentare, ha penalizzato l’entusiasmo dei partecipanti”.

A questa sollecitazione, ha fatto eco mons. Valentino Bulgarelli, sottosegretario della Cei, direttore dell’Ufficio catechistico nazionale e segretario del Comitato nazionale del Cammino sinodale della Cei, quando ha affermato:“Abbiamo bisogno di contesti vitali, non formali. Sono affiorate – ha spiegato al Sir – delle esigenze, fra le quali avere delle comunità vere, credibili, riconoscibili, che maturano la consapevolezza di che cosa voglia dire essere una comunità cristiana. Vedremo, nell’assemblea di novembre, come i vescovi declineranno questa richiesta”.Riguardo all’approccio usato nei diversi incontri, mons. Bulgarelli ha aggiunto: “abbiamo cercato di applicare una metodologia che desse a tutti la parola e giungere però anche ad una sintesi”. Altra questione è stata capire che cosa voglia dire essere una Chiesa sinodale, “perché erroneamente – ha osservato – si crede che la sinodalità sia semplicemente uno strumento mentre, in primo luogo, la sinodalità è la natura di una Chiesa che cammina insieme”.

(Foto SIR)

“Nessun algoritmo potrà mai sostituire un abbraccio, uno sguardo, un vero incontro”. Con queste parole di Papa Leone XIV, Riccardo Benotti, giornalista del Sir e dottorando in intelligenza artificiale e media cattolici, ha aperto la sua relazione “L’algoritmo e il Vangelo”. “Custodire l’umanità è il compito che ci viene affidato”, ha detto, sottolineando che la catechesi non è semplice trasmissione di contenuti, ma esperienza viva di relazione. “L’intelligenza artificiale non sarà mai catechista – ha aggiunto – ma può essere uno strumento utile nella preparazione, mentre restano umani lo sguardo, la parola che consola, il discernimento”. “Il dibattito ‘digitale sì o no’ è superato: viviamo in un mondo ‘on life’, dove online e offline si fondono”, ha spiegato Stefano Pasta, docente all’Università Cattolica di Milano. L’IA, ha detto, rappresenta una nuova fase dei media, capace di simulare il pensiero umano, ma non priva di rischi. “Gli algoritmi non sono neutri: selezionano e influenzano. La sfida è educare alla libertà, anche nel digitale. Il compito della catechesi – ha chiosato – è insegnare a porre domande, non solo a offrire risposte”. “Se continuiamo a misurarci solo col recente passato, non andiamo da nessuna parte”, ha precisato don Andrea Ciucci, coordinatore della Pontificia Accademia per la Vita: “Come cristiani siamo fatti per il digitale: parole come rete, community, testimonial sono nostre da sempre”. Secondo Ciucci, la Chiesa ha elementi già in sintonia con i linguaggi dei nativi digitali: “La liturgia è simbolica, di gruppo, coinvolgente e breve: caratteristiche che parlano al digitale”. Di fronte alle sfide dell’IA, non servono moratorie, ma “uno sforzo congiunto di scienziati e politici per indirizzarla al bene comune”. La questione, ha concluso, “è molto seria, e si muove a una velocità impressionante”.

Agensir