Cultura
Il culto di San Francesco di Paola nelle arti visive, musicali e letterarie

Compositori, scrittori e pittori hanno rappresentato, nei secoli, la vita del patrono della Calabria
La devozione nei confronti di San Francesco di Paola ha assunto, nel corso dei secoli, la forma di un vero e proprio culto universale, celebrato attraverso le più svariate espressioni artistiche. Il patrono della Calabria è stato esaltato da pittori come Rubens, Velasquez, Murillo, Tintoretto, Luca Giordano e Mattia Preti. Rubens, per esempio, dipinse “I Miracoli di San Francesco di Paola” tra il 1627 e il 1628, trattando un evento della vita del santo ripreso da altri come Mattia Preti, il quale realizzò un olio su tela con il medesimo soggetto nel 1678. Il musicista ungherese Franz Liszt dedicò al carismatico eremita una delle due leggende per pianoforte, composte nel 1863 per la figlia Cosima, intitolata S. Francesco che cammina sulle onde, contraddistinta dallo sfarzo degli effetti e dalla scrittura pianistica in generale. Il compositore riprese il miracolo operato dal santo quando, vedendosi rifiutato da alcuni battellieri la salita sulla loro imbarcazione, attraversò lo stretto messinese camminando con passo tranquillo sulle onde. A Paola, come nel resto della Calabria e in Sicilia, esiste una copia di canti religiosi ispirati al santo chiamato anche “Santu Patri”. Fra questi è significativo quello presentato da Rosario Manes nel libro Canti d’amore e di sdegno nella tradizione orale calabrese (Laruffa 1986), nel quale si fa memoria del viaggio che il taumaturgo compì presso la corte francese, insieme al suo ruolo di mediatore della grazia salvifica di Cristo nonché di protettore contro le calamità naturali. Riportiamo, per una questione di spazio, solo alcuni versi di questo canto paolano: “San Franciscu ri Paula nativu, adduvi ‘u re foze commitatu … E San Franciscu gran miraculusu piglia ‘u mantellu sua e jette ppi mari … San Franciscu ri Paula mantu mia di arità. Iu ti chiamo e vieni priestu alli mia nicissità … Viata Paula cchi bella citata c’avimu a ‘stu gran santu gruliusu … Cu lacrimi ri cori l’haju prigatu: libra Paula mia ri ddirrimoti”. Il canto in dialetto vernacolare appare spontaneo, disinvolto e molto più libero rispetto alle rigide regole della lingua italiana, in grado di esprimere pienamente quell’amore popolare per il padre dei Minimi che i tempi non hanno adombrato. Ma è stato Attilio Romano che ha offerto uno dei contributi più importanti sulla vita del patrono di Paola con il libro ‘U Santu Nuostu. La vita di s. Francesco da Paola in un Recital in lingua, poesie e canti in dialetto calabrese (Nuova frontiera calabrese 1991). Si tratta effettivamente di un recital in lingua, che raccoglie una serie di poesie e di canti in dialetto, composti in occasione del cinquecentenario della partenza del protettore della gente di mare per la Francia. La narrazione dell’esistenza del taumaturgo è accompagnata da canzoni dialettali, musicate da Vincenzo Pellegrino, e da alcuni disegni realizzati da Antonio Aquilini. Oltre a collegare vari aspetti della cultura popolare, l’esperimento di Romano ha anche una finalità educativa dovuta ad una serie di schede didattiche, che servono per rendere comprensibile il contenuto anche ai giovani. Romano tenta una mediazione tra italiano e gergo locale, ma è quest’ultimo che dà consistenza al testo. Il fondatore della rivista “Calabria Letteraria”, Emilio Frangella, redasse un inno musicato in italiano che recita così: “A te, Francesco, inneggiano – lieti e festanti i cieli / innalza laudi e preci – il popol tuo fedel. Santo glorioso ecc. III. In questa valle misera – gementi sospiriamo porgici amica mano – infiamma i nostri cuor. Santo glorioso ecc. IV. Sulla Calabria il manto – stendi tuo protettore, chè in gioia o nel dolor – sia sempre a Dio Fedel. Santo glorioso ecc”. A partire dagli anni cinquanta del novecento aumenta il numero delle poesie scritte da giovani dilettanti locali, appassionati della figura di San Francesco. Nel 1916, in occasione della festa patronale del 4 maggio, Vincenzo Ferrari compose il poema intitolato Visione in quartine di tre endecasillabi e un quinario, ispirandosi vagamente allo stile carducciano. Inserito nel volume Per il centenario di S. Francesco di Paola (Tipi della Cronaca di Calabria, Cosenza 1916), il testo è un’invocazione al santo identificato con la figura di Cristo all’interno di uno scenario di guerra. “Deh! Chi lo chiama a la fatal missione? Qual voce schiude al più cocente ardore il giovin seno? O povertà del Cristo, Nume solingo!”. Si capisce da questi versi l’uso di termini esagerati e artefatti, che provocano effetti ridonanti e richiamano alla mente modelli letterari in disuso. Nel 1919 Ferrari scrisse un’altra poesia, in quartine di tre endecasillabi e un novenario in terza posizione, dal titolo l’Ode a S. Francesco di Paola. Recita cosi: ““Ove sei tu, Santo? A le fatidiche Rupi ti chieggio, e sento che un volto spira su l’accesa mia fronte, Qual carezza amorosa di Dio. Ti veggio in niveo manto su ‘l poggio a vegliare su l’egra famiglia, se mai la tua luce spirtale non più avvampi le italiche membra”. Siamo dinnanzi, anche in questo caso, a versi aventi uno stile ampolloso e ridondante, a tratti incomprensibili, ma capaci di muovere un’appassionata supplica al santo.