Assemblea permanente Cei. Card. Zuppi, “l’Europa maestra di pace”

“Niente del passato va perduto e nessun confine è invalicabile”. Così il card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, ha attualizzato la lezione di Gorizia e Nova Gorica, prima divise dalla storia e ora riunificate come Capitale europea della cultura 2025. Perché “tutto può cambiare, dipende anche da noi”, come aveva detto Giovanni Paolo II nella sua visita pastorale nel 1992, ha osservato Zuppi citando la veglia di preghiera per la pace che si svolgerà domani sera. Nell’introduzione al Consiglio permanente, in corso a Gorizia fino al 24 settembre, il cardinale ha menzionato la Slovenia e Italia, che hanno scelto da anni la cooperazione e lo hanno fatto in un quadro europeo. “L’Europa unita ha reso possibile molte cose, che prima e a lungo sembravano impossibili, proprio perché si è fondata sulla cooperazione, nella coscienza di avere un destino comune di pace tra i Paesi dell’Europa (che pure si erano combattuti) e del mondo”, l’analisi di Zuppi: “Questi frutti mostrano come l’Europa esista e sia una via verso il futuro, forse più di quanto i cittadini avvertano a causa della distanza delle istituzioni comunitarie”.“Non solo l’Italia, ma l’Europa può diventare maestra di pace”,l’appello del presidente della Cei: “Anzi – come ha affermato recentemente il presidente Mattarella – il mondo ha bisogno dell’Europa. Per ricostruire la centralità del diritto internazionale che è stata strappata. E per rilanciare la prospettiva di un multilateralismo cooperativo”. “E l’Europa deve esistere di più, anche se la insidiano e la indeboliscono i nazionalismi e i sovranismi e una leadership complessa”, ha affermato Zuppi, secondo il quale “l’incertezza dei rapporti con l’Alleato americano di sempre e la condizione creata dall’invasione russa in Ucraina la pongono in una situazione totalmente nuova, che richiede soluzioni unitarie perché siano efficaci”.“Dobbiamo, come Chiesa italiana e come Chiese europee, portare il nostro sostegno al Continente, per un suo consolidamento come realtà di democrazia, pace e libertà, per la difesa della persona umana in un mondo che appare tanto in movimento”,l’indicazione di rotta. “Abbiamo bisogno, oggi più che mai, di esempi concreti come quello di Gorizia per dimostrare che la pace non è un’utopia per ingenui, ma è la vocazione dell’Italia, dell’Europa e di ogni società umana degna di questo nome”, la tesi del cardinale sulla scia dell’Europa a due polmoni auspicata da Giovanni Paolo II e della volontà di una “nuova Camaldoli” per il nostro continente. “È troppo sognare che le armi tacciano e smettano di portare distruzione e morte?”, si è chiesto Zuppi: “L’esigenza della pace interpella tutti” con progetti concreti, a partire dall’impegno della diplomazia “per costruire con coraggio e creatività spazi di trattativa finalizzati a una pace duratura”. Il punto di partenza è la consapevolezza che “la guerra non è un fantasma del passato, ma è diventata una minaccia costante”, come ha denunciato Papa Francesco nella Fratelli tutti. Oggi, cinque anni dopo,“la guerra ha già reso peggiore la vita di tanti Paesi e di milioni persone”,come a Gaza, dove, “mentre ancora gli ostaggi israeliani sono prigionieri in condizioni inumane, un’intera popolazione, affamata, bombardata, è costretta a un esodo continuo e con sofferenze drammatiche come ogni esodo”.La Chiesa italiana si unisce al forte e accorato appello per il cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi lanciato dal Papa durante l’udienza di mercoledì scorso, con un elenco dettagliato: “Cessi il rumore delle armi in nome del rispetto per l’inviolabile dignità della persona umana, di ogni persona; siano protetti i civili da ogni forma di violenza fisica, morale e piscologica; sia garantita a ciascuno la libertà di decidere dove e come vivere nel rispetto dell’altro e in fraternità, perseguendo il principio dei due Stati, unica via per dare un futuro al popolo palestinese preso in ostaggio da Hamas e dall’offensiva militare tuttora in corso”.“La guerra è il fallimento della politica e dell’umanità”,ha tuonato ancora il cardinale: “Avviene in Ucraina, dopo qualche recente speranza di negoziato. Il futuro sembra essere nel confronto militare. È avvenuto un cambio di paradigma, ormai generalizzato, con la riabilitazione della guerra come strumento politico o di affermazione dei propri interessi”.“Non stiamo vivendo solo una crisi dell’Onu. Siamo nell’età della forza”,il grido d’allarme del porporato, che ha esortato a riprendere e a cercare di realizzare il “sogno” di Paolo VI nel suo celebre discorso all’Onu del 4 ottobre 1965.  No alla “globalizzazione dell’impotenza”, sì alla “cultura della riconciliazione”, per non “rimanere intrappolati nella polarizzazione” o nei “muri invalicabili”.“Essere cristiani significa anche denunciare le guerre e le ingiustizie, sostenere la diplomazia, offrire accoglienza a chi fugge da conflitti”, il monito:  “Ogni parrocchia e comunità sia una casa di pace e di non violenza”.Sul piano nazionale, il presidente della Cei ha ribadito l’appello affinché le cure palliative siano “garantite a tutti, in modo efficace e uniforme in ogni Regione”. “La sete di esperienze di fede nei giovani non si è estinta”, il bilancio del Giubileo di Tor Vergata e delle recenti canonizzazioni di Pier Giorgio Frassati e Carlo Acutis.“Guardare con uno sguardo missionario il futuro del nostro Paese”.È questo il compito della Chiesa italiana, dopo il Giubileo. “In questa società disarticolata c’è da ritessere la fraternità”, ha affermato il cardinale, citando gli ultimi passi del Cammino sinodale delle Chiese che sono in Italia, il cui testo finale, riformulato, sarà votato il 25 ottobre dalla terza Assemblea sinodale  per essere poi presentato ai vescovi riuniti nell’Assemblea generale in programma ad Assisi dal  17 al 20 novembre: “La sinodalità non finisce, ma deve diventare uno stile e una serie di scelte operative, coinvolgenti, fraterne e profetiche”.M.Michela Nicolais