Spettacoli
Dubbi, incertezze e chiamata vocazionale nel film su Teresa di Calcutta
La religiosa considerava l’aborto una guerra perché i figli sono il futuro dell’umanità
Si intitola Teresa – La madre degli ultimi il nuovo film della regista macedone Teona Strugar Mitevska, presentato all’82° Mostra del Cinema di Venezia (sezione Orizzonti) e dal 18 settembre nei cinema. La piccola religiosa albanese naturalizzata indiana, canonizzata da papa Francesco nel 2016, è stata un segno della presenza e dell’amore di Dio nel mondo, una madre universale e, in particolare, la madre del mondo della sofferenza che ha oltrepassato ogni limite e confine nazionale, razziale e religioso testimoniando che niente è impossibile per chi crede e ama. Nata a Skopje nel 1910 e morta a Calcutta nel 1997, Teresa (al secolo Gonxhe Bojaxhiu) vive un momento delicato dovuto alla scelta di voler lasciare il convento di Loreto a Calcutta, presso cui è superiora, per iniziare la sua nuova missione tra i poveri. Il film si concentra proprio sulla settimana decisiva nel corso della quale la religiosa attende la risposta e l’autorizzazione da parte del Vaticano, per cominciare il suo tanto desiderato percorso tra le strade della città indiana. Questa “seconda chiamata” la porterà a stare con i bambini e ad educarli, ad assistere i diseredati e ad accogliere i più bisognosi, a lavorare negli slum e a sporcarsi le mani. La sua nuova missione riscuoterà un successo tale da convincere la Santa Sede, nel 1950, ad approvare la costituzione della nuova comunità religiosa che si sarebbe chiamata “Missionarie della Carità”. Contestualmente a questa svolta nella vita della suora, il film affronta anche una tematica abbastanza complicata: l’aborto. Teresa (interpretata dall’attrice svedese Noomi Rapace) viene a conoscenza della maternità di una sua consorella, Agnieszka (interpretata dall’attrice olandese Silvia Hoeks), la suora che dovrà prendere il suo posto di superiora. Agnieszka non vuole ostacolare il nuovo percorso di Teresa ed è pronta ad abortire, mettendo l’altra donna dinnanzi ad un grande dilemma che sfida le sue credenze, la fa sprofondare nel tormento e le crea tante perplessità. Le due vivono un conflitto morale atroce, che solleva tematiche come la fede, la maternità e l’ambizione. Teresa è contraria all’aborto che definisce come “una guerra” perché – dice – “i figli sono una ricchezza, perché sono il futuro”. Qui la maternità è vista sotto due aspetti: quello religioso e quello terreno, quello vissuto all’ombra di Dio e quello incarnato dal proprio figlio. Emerge nel film la complessità di una figura come quella della santa, che fa i conti con la sua fede e cerca la conferma di appartenere ancora a Dio, sforzandosi di superare tutte le vicissitudini quotidiane, fino a giungere alla decisione di fondare la sua congregazione. La regista, muovendosi tra realtà e finzione, giustifica la posizione di Madre Teresa, figlia di una società per la quale è inconcepibile annientare una vita che sta per sbocciare. Il messaggio che passa è questo: se l’aborto è una questione alquanto delicata al mondo d’oggi, allora tanto delicato e duro è assicurare alle donne il diritto al corpo e alla scelta. La lettura di questa tematica scorre sul doppio binario della modernità e dell’ambiguità: se da un lato c’è il tentativo di decidere del proprio corpo, dall’altro Agnieszka desidera essere madre a costo di rinunciare ai voti religiosi. La pellicola ha toni serrati e cupi, si muove tra generi diversi ed è a metà strada tra un dramma spirituale e un thriller conventuale. L’intento non è tanto quello di presentare l’aspetto devozionale e ammirevole di Madre Teresa, pur restando sullo sfondo il bene compiuto e le opere realizzate per la povera gente, ma evidenziare il conflitto tra le due donne, che sono un po’ le due facce di una stessa persona, due esseri chiamati a districarsi dinnanzi ad una faccenda spinosa. La sospensione della scelta di fronte alla maternità crea disagio, angoscia e travaglio interiore, ma è proprio in questa indecisione che viene tirato fuori il ritratto laico ma anche religioso di Teresa. La regista ricorda agli spettatori l’attualità della santa indiana che, in primo luogo, era una persona capace di cambiare il mondo con il suo esempio e di uscire più fortificata dai momenti tormentati, non senza aver messo alla prova la sua fede. Molto probabilmente ora sarebbe a Gaza a prendersi cura dei palestinesi. Rapace ha detto che Teresa era, per prima cosa, “una ribelle” che si è fatta strada in un mondo maschile, in una Chiesa di soli uomini, ma aveva anche fratture interne e provava dolore. La settimana portata in scena è la settimana dell’incertezza e della perplessità ma anche del ritrovato dogmatismo e della ritrovata libertà di una donna, che si rivede nella vita di strada in mezzo alla povera gente.
