Leone XIV: aprirsi all’altro, anche se è nemico

L’udienza generale del mercoledì 3 settembre. “Siamo fatto per dare e ricevere amore”

“L’uomo non si realizza nel potere, ma nell’apertura fiduciosa all’altro, persino quando ci è ostile e nemico”. Nella catechesi dell’udienza di oggi, dedicata alla crocifissione di Gesù, Leone XIV si è soffermato sulla misura paradossale dell’esistenza cristiana. Al termine, un accorato appello per porre fine al conflitto in Sudan. Durante i saluti ai fedeli polacchi, il Papa ha citato Pier Giorgio Frassati e Carlo Acutis, che proclamerà santi in questa stessa piazza domenica prossima, 7 settembre.

“Sulla croce, Gesù non appare come un eroe vittorioso, ma come un mendicante d’amore. Non proclama, non condanna, non si difende. Chiede, umilmente, ciò che da solo non può in alcun modo darsi”, ha esordito Prevost commentando il grido umanissimo di Gesù: “Ho sete”. “La sete del Crocifisso non è soltanto il bisogno fisiologico di un corpo straziato”, ha spiegato: “È anche, e soprattutto, espressione di un desiderio profondo: quello di amore, di relazione, di comunione. È il grido silenzioso di un Dio che, avendo voluto condividere tutto della nostra condizione umana, si lascia attraversare anche da questa sete. Un Dio che non si vergogna di mendicare un sorso, perché in quel gesto ci dice che l’amore, per essere vero, deve anche imparare a chiedere e non solo a dare”.
“Nessuno di noi può bastare a sé stesso. Nessuno può salvarsi da solo”,
il monito di Papa Leone: “Ho sete, dice Gesù, e in questo modo manifesta la sua umanità e anche la nostra”, ha osservato: “La vita si compie non quando siamo forti, ma quando impariamo a ricevere. E proprio in quel momento, dopo aver ricevuto da mani estranee una spugna imbevuta di aceto, Gesù proclama: È compiuto. L’amore si è fatto bisognoso, e proprio per questo ha portato a termine la sua opera. Questo è il paradosso cristiano: Dio salva non facendo, ma lasciandosi fare. Non vincendo il male con la forza, ma accettando fino in fondo la debolezza dell’amore”. “La salvezza non sta nell’autonomia, ma nel riconoscere con umiltà il proprio bisogno e nel saperlo liberamente esprimere”, ha puntualizzato Leone XIV:
“Il compimento della nostra umanità nel disegno di Dio non è un atto di forza, ma un gesto di fiducia.
Gesù non salva con un colpo di scena, ma chiedendo qualcosa che da solo non può darsi. E qui si apre una porta sulla vera speranza: se anche il Figlio di Dio ha scelto di non bastare a sé stesso, allora anche la nostra sete – di amore, di senso, di giustizia – non è un segno di fallimento, ma di verità”.

“Viviamo in un tempo che premia l’autosufficienza, l’efficienza, la prestazione”, l’analisi del Pontefice: “Eppure, il Vangelo ci mostra che la misura della nostra umanità non è data da ciò che possiamo conquistare, ma dalla capacità di lasciarci amare e, quando serve, anche aiutare”. Gesù, infatti, “ci salva mostrandoci che chiedere non è indegno, ma liberante”: ”È la via per uscire dal nascondimento del peccato, per rientrare nello spazio della comunione. Fin dall’inizio, il peccato ha generato vergogna. Ma il perdono, quello vero, nasce quando possiamo guardare in faccia il nostro bisogno e non temere più di essere rifiutati”. E così, “la sete di Gesù sulla croce è anche la nostra”: “È il grido dell’umanità ferita che cerca ancora acqua viva. E questa sete non ci allontana da Dio, piuttosto ci unisce a Lui”. “Se abbiamo il coraggio di riconoscerla, possiamo scoprire che anche la nostra fragilità è un ponte verso il cielo”, ha assicurato il Papa: “Proprio nel chiedere – non nel possedere – si apre una via di libertà perché smettiamo di pretendere di bastare a noi stessi”. “Nella fraternità, nella vita semplice, nell’arte di domandare senza vergogna e di offrire senza calcolo, si nasconde una gioia che il mondo non conosce”, la tesi di Leone: “Una gioia che ci restituisce alla verità originaria del nostro essere: siamo creature fatte per donare e ricevere amore”. “Nella sete di Cristo possiamo riconoscere tutta la nostra sete”, ha concluso: “E imparare che
non c’è nulla di più umano, nulla di più divino, del saper dire: ho bisogno.
Non temiamo di chiedere, soprattutto quando ci sembra di non meritarlo. Non vergogniamoci di tendere la mano. È proprio lì, in quel gesto umile, che si nasconde la salvezza”.