Scienza
SLA: la diagnosi precoce è possibile
Un biomarcatore, identificato da un gruppo di esperti dell’ospedale torinese Molinette, potrebbe aiutare a prevenire lo sviluppo della patologia neurodegenerativa progressiva
Una scoperta importante nel settore medico potrebbe dare una svolta decisiva allo studio sulla SLA, la Sclerosi Laterale Amiotrofica. Il gruppo di ricerca della Neurologia 1 universitaria della Città della Salute e della Scienza dell’ospedale Molinette di Torino, guidato dal professor Adriano Chiò, ha individuato un biomarcatore altamente affidabile costituito da 33 proteine presenti nel sangue, in grado di identificare precocemente un futuro malato di SLA. La ricerca è stata condotta su un campione di 183 pazienti con diagnosi di SLA e 309 persone sane. Utilizzando la piattaforma Olink Explore 3072, sviluppata per condurre indagini appropriate nell’ambito della proteomica, la disciplina che si occupa del riconoscimento delle proteine nel sangue, della loro struttura, della loro funzione e delle loro attività, gli scienziati hanno intercettato un gruppo di 33 proteine, i cui livelli di variabilità sono stati esaminati mediante un sistema di anticorpi connessi a sonde a DNA di cui la piattaforma stessa è fornita. Hanno così rilevato che queste 33 proteine, che formano un vero e proprio biomarcatore della patologia, sono soggette ad alterazioni significative nel caso dei pazienti affetti da SLA, mentre invece nei pazienti sani tali mutamenti non sono riscontrabili. Lo studio è stato ripetuto su un secondo gruppo di persone, confermando a tutti gli effetti i risultati già conseguiti nel primo caso. Inoltre, l’IA ha permesso di disegnare un algoritmo, capace di differenziare il gruppo dei malati dai sani con un’affidabilità pari al 98,3%. Questo brillante risultato torna certamente utile nella fase di identificazione iniziale e precoce della malattia, ancora in fase embrionale o silente. La strumentazione adoperata, che si giova dei numerosi apporti dell’IA e dell’informatica, permetterebbe di intervenire in largo anticipo sui pazienti predisposti allo sviluppo della malattia, aiutando così i medici ad applicare la cura farmaceutica e le terapie migliori. La scoperta è stata pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica Nature Medicine.
