60 anni fa il Messaggio di Montini alle donne

La Chiesa di oggi è fatta da uomini e donne che sono ugualmente capaci e hanno pieni diritti

Sono trascorsi sessant’anni dal messaggio che papa Montini rivolse alle donne l’8 dicembre 1965, a conclusione dei lavori del Concilio Vaticano II. È uno dei sette messaggi che il Pontefice indirizzò ad un variegato gruppo di persone (governanti, scienziati, intellettuali, artisti), allo scopo di avviare un dialogo proficuo per l’inizio della stagione postconciliare. Il testo indirizzato alle donne fu letto, nell’aula conciliare, dal card. Leon Etienne Duval, arcivescovo di Algeri, uomo di dialogo impegnato per la pace ad Algeri, accompagnato dagli arcivescovi di Monaco, mons. J. Döpfner, e di Santiago del Cile, mons. Raul Silva Henriquez. Fu consegnato a tre laiche presenti in sala insieme ad altre consacrate: Laura Carta Segni, Marie-Louise Monnet e Luzia Alvarez Icaza. La prima, moglie dell’ex presidente della Repubblica Italiana, Antonio Segni, fu una personalità vicina ai poveri, prossima alle associazioni cattoliche femminili e sempre pronta a sostenere il marito in tutte le situazioni, perfino nella malattia. La seconda, di nazionalità francese, era la sorella di Jean Monnet, fondatrice del ramo francese dell’Azione Cattolica, nonché prima donna nominata uditrice al Vaticano II in possesso di una profonda fede in Cristo. La terza, di origini messicane, fu coordinatrice di diverse associazioni pastorali familiari. Le parole di Montini nel comunicato sono chiare: “Ed ora è a voi che ci rivolgiamo, donne di ogni condizione, figlie, spose, madri e vedove; anche a voi, vergini consacrate e donne nubili: voi siete la metà dell’immensa famiglia umana!”. Ad una prima lettura emerge l’immagine della donna confinata nell’ambiente domestico, posta ad un livello gerarchico inferiore rispetto all’uomo che invade e controlla il settore pubblico. Descrivendo una situazione contemporanea non poco preoccupante, il Pontefice esalta il dono sponsale e materno della donna, senza però far riferimento alle critiche avanzate dalla Chiesa al genere femminile, ritenuto per troppo tempo incapace e marginale rispetto alla controparte maschile. Il testo riconosce il ruolo dignitoso della donna ma lo ingabbia nelle rigide maglie della cultura ecclesiastica dell’epoca ancora troppo maschilista, nutrita di pregiudizi stereotipati sul genere sessuale, senza cogliere appieno le innovazioni proposte dal Vaticano II. A distanza di sessant’anni le parole di Paolo VI sembrano lontane dall’attuale condizione femminile, risuonando anacronistiche e inopportune. Nonostante la presunta inattualità, il messaggio papale contiene in sé il germe del futuro e anticipa quello che sarebbe stato il volto della Chiesa del XXI secolo, preconizzato dal Concilio Vaticano II. “Ma viene l’ora, l’ora è venuta, in cui la vocazione della donna si completa in pienezza, l’ora in cui la donna acquista nella società un’influenza, un irradiamento, un potere finora mai raggiunto” si legge nel documento. La Chiesa sinodale di oggi non è più fatta solo da uomini, come voleva la tradizione, ma da uomini e da donne aventi pari diritti e doveri, dotati di capacità, creatività, intelligenza e fede in Dio. Una Chiesa, dunque, non più stereotipata né tanto meno legata ad una visione teologia androcentrica, ma aperta al mondo e pronta ad accogliere tutti. La donna è quel “partner imprevisto” di cui aveva bisogno il mondo ecclesiastico per fare i conti con la modernità, quell’aiuto necessario che l’assise vaticana aveva previsto e che il messaggio di Montini, anche inconsapevolmente, aveva già evidenziato. Le donne sono “imbevute dello spirito del Vangelo” e“possono tanto per aiutare l’umanità a non decadere”, le lungimiranti parole di Paolo VI. Oggi, anche in contesti difficili, le donne possono fare la differenza: basti pensare a suor Livia Ciaramella che sta accanto ai detenuti di Pescara da 19 anni, non per giudicare ma per condividere la loro condizione di fragilità, a suor Arcangela Tarabotti che nel seicento denunciò l’imposizione del velo alle ragazze senza alcuna vocazione, o al ruolo delle suore che, durante la seconda guerra mondiale, agirono e diedero solidarietà nei loro conventi a tanti diseredati, spalleggiando la Resistenza. La donna quindi come madre e sposa ma anche essere indipendente, forte e autonomo.